Alessandria ha impiegato vent’anni per capire che esiste una sede universitaria. Quanto impiegherà per iniziare ad avviare, concretamente, i processi necessari per trasformarla in una ‘città universitaria’? Ancora in occasione di un incontro pubblico sono stati assicurati impegni, ma un paio di volte il sindaco, Gianfranco Cuttica di Revigliasco, ha usato molto il condizionale e il verbo ‘tentare’ e non un più deciso ‘faremo’. Alla necessità di un miglioramento dei trasporti urbani, in particolare il collegamento fra la stazione ferroviaria e la sede del Disit (Dipartimento di scienze e innovazione tecnologica) al quartiere Orti, ribadita da una piccola indagine svolta fra gli studenti, ha detto chiaramente che “sulle linee dei bus possiamo tentare un ragionamento, ma Amag Mobilità è privata ed è la stessa azienda che gestisce i parcheggi”, quindi… .
Poi “bisognerebbe tentare delle convenzioni per gli studenti che farebbero bene al commercio e alla consapevolezza del rapporto fra Ateneo e città”. La comunità “dovrebbe avere un guizzo di fantasia, che ad Alessandria finora è mancato”, quindi ammette che “c’è stata una non completa comprensione della valenza e dell’importanza dell’università”. Solo due assicurazioni più circostanziate sono arrivate, alla fine, dal primo cittadino. “Tra aprile e maggio” verranno liberati gli spazi della sala esposizioni dei cappelli Borsalino, al primo piano dell’omonimo palazzo, consentendo all’Ateneo di avviare finalmente i lavori per ricavare tre aule nuove, ed è stato confermato l’impegno per la riconversione dell’ex ospedale militare e dell’ex chiesa di San Francesco a polo universitario di accoglienza, spazio culturale, studio.
“Diteci come possiamo aiutarvi, noi metteremo i nostri commercianti nelle condizioni di rispondervi”. Massima apertura al dialogo da Confesercenti, con Michela Mandrino, responsabile della zona di Alessandria. “Siamo pronti a fare la nostra parte, pensando a una card o ad altre formule di convenzioni, la prima è forse un po’ superata. In effetti alcuni associati ci hanno chiesto ‘perché non facciamo qualcosa per l’Ateneo’? Bisogna dare una visione”. Le parole sono di Alice Pedrazzi, direttore dell’Ascom. L’apertura è positiva. Certo che se la reazione arriva solo dopo una palese sollecitazione, c’è da chiedersi dove sono state le associazioni di categoria negli ultimi vent’anni.
Salvatore Rizzello e Leonardo Marchese, direttori del Digspes (Dipartimento di giurisprudenza, scienze politiche, economiche e sociali) e del Disit, hanno sostanzialmente raccontato quello che una comunità, davvero consapevole della presenza di una sede universitaria, dovrebbe conoscere: l’attività didattica, la ricerca, i riconoscimenti internazionali, gli obiettivi, i master, i corsi nuovi, gli scenari di sviluppo.
Gli studenti, convinti che Alessandria abbia le potenzialità per diventare una città universitaria, cosa chiedono? Aree studio e biblioteche, poi facilità di parcheggi e trasporto più efficiente. Sul secondo punto si è detto, sul primo se le pubbliche amministrazioni si fossero mosse anni fa, gli spazi ci sarebbero già.
Alla serata non è nemmeno mancata una singolare suggestione grazie a Marco Tomasi, direttore generale dell’Università di Siena, appena andato in pensione. Maggior parte della carriera l’ha svolta all’Università di Trento e l’intervento di apertura è ruotato proprio intorno al racconto di come si sia trasformato ed evoluto il rapporto fra la città trentina e l’università, che oggi conta sedicimila studenti, circa cinquecento docenti e altrettanto personale tecnico-amministrativo. Un esempio ideale da seguire, con una sola, incolmabile, differenza: Trento è il capoluogo dell’omonima provincia autonoma e della regione a statuto speciale. Soldi, competenze, autonomia e quant’altro sono decisamente imparagonabili. Una riflessione, invece, può venire se si guarda a quando avvenuto a Novara e Vercelli. Dove fin dal giorno successivo alla isitutuzione dell’Università del Piemonte Orientale, molti docenti sono stati cooptati nelle rappresentanze istituzionali, a cominciare dalle Camere di Commercio, passando per le fondazioni bancarie e altri organismi privati come il sistema confindustriale.
Durante l’incontro (organizzato dal giornale locale Il Piccolo, durante il quale non è stato però nemmeno tracciato un quadro di sintesi rispetto a quanti sono gli studenti, i docenti, il personale, le attività e la ricaduta economica sul tessuto cittadino, tanto per fare comprendere meglio il peso reale di una presenza che in ogni caso non può essere né sostitutiva, né compensativa rispetto alla carenza di altri insediamenti o motori di sviluppo) di fronte a un pezzo di società alessandrina cui è stato lanciato l’ennesimo richiamo, non è mancata la voce del rettore dell’Università del Piemonte Orientale, Cesare Emanuel. Un intervento decisamente senza rete. Premettendo che ormai è a fine mandato, forse per spiegare i toni privi di diplomazia, ha esordito dicendo che “innanzitutto ci vorrebbe ‘un territorio universitario’ e non solo una ‘città universitaria’”. Un territorio “che non c’è vista l’assenza delle connessioni, sul piano del trasporto, fra Alessandria, Vercelli e Novara, e la carenza di programmazione pubblica”. Poi “alcune responsabilità non sono da ascrivere né all’Ateneo, né alle amministrazioni locali, bensì all’Edisu che con la base a Torino certo non brilla per efficienza su questi territori”.
Quindi una citazione finale rispetto agli ultimi positivi sdoppiamenti di corsi (economia, giurisprudenza, lettere, scienze) e poi due stoccate. “È più dura che incidere su una lastra di acciaio l’ipotesi di sdoppiamento del corso di laurea in medicina da portare ad Alessandria. È una decisione che non possiamo prendere noi da soli, c’è da superare il numero chiuso nazionale. Noi abbiamo chiesto cinquanta posti in più, ma non è facile”. E uno. “Solo i sindaci Calvo e Scagni hanno portato avanti i programmi con l’ateneo (allora gli altri evidentemente no, ndr). L’unico referente istituzionale in questi anni è stata la Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria. Con questa amministrazione comunale comunque siamo tornati a parlarci e riprendere il confronto su progetti futuri. Nelle altre città l’interazione invece dura da vent’anni”. E due.