Ma che vuol dire identità nazionale?

Per fine anno 2 ai politici, ma anche a noi cittadini! [Le pagelle di GZL] CorriereAlIdentità nazionale, sovranità nazionale, destino comune della nazione.

Ma di che cosa stiamo parlando?

Dopo il “ventennio” famoso durante il quale in Italia si espresse una ideologia ispirata alla esaltazione del concetto di nazione, dopo le nefaste conseguenze conosciute, oltre che per le disgrazie portate dalla guerra ma ancor prima per il fallimento di fatto del progetto di costruzione dell’ “Italiano nuovo”, il modello di uomo forgiato dall’idea di maschia virilità, di patriottismo, di atletismo, di eroismo e in definitiva anche di militarismo, nel dopoguerra per qualche decennio l’aggettivo “nazionale” non fu più di moda. Si usava l’aggettivo “nazionale” soltanto più quando si parlava di calcio oppure per ordinare le sigarette dal tabaccaio. Non parliamo poi di patria, parola che ha dovuto essere sdoganata dal Presidente Ciampi per ritornare di moda nel parlare in televisione o sui giornali. Prima di lui il termine dominante era “il Paese”, non “la Patria”.

Eppure, dopo sforzi durati parecchi decenni a partite dall’unità d’Italia, soltanto dopo la fine della guerra si aprì una vera unità nazionale ad esempio nella lingua parlata, grazie all’azione didattica del mezzo televisivo, con una prima parvenza di conoscenza delle comuni radici letterarie e del patrimonio artistico nazionale a livello di massa e non solo più di elite. Da qualche tempo però, forse a causa della crisi che stiamo attraversando, si sente sempre di più parlare di termini un po’ vaghi ma di sicuro effetto come: “identità nazionale”, “sovranità nazionale” e via di questo passo.
Forse vogliamo usarli più per allontanare da noi certe paure che con reale cognizione di causa. Cosa vuole dire identità nazionale?

Che il mio abito mentale, i miei pensieri devono collimare o restare compatibili con l’abito mentale ed i pensieri di un napoletano piuttosto che con quelli di un francese, uno spagnolo o forse anche di un tedesco? Non sarei tanto d’accordo. Pur riconoscendo la ricchezza della civiltà napoletana, come quella di tante altre realtà popolari della nostra penisola, espressa nei secoli di storia passata, devo dire che mi sento altrettanto affratellato con molti popoli che portano un altro stile di vita e che, secondo me, hanno più chiara l’idea dei loro diritti e doveri, come pure degli obiettivi del loro futuro.

Per cui eviterei di mitizzare certe parole come identità o sovranità, specie se dietro l’angolo del loro bagaglio si sente puzza di razzismo. Sono infatti convinto che se in Europa esiste un popolo che non ha alcun diritto di parlare di razza è proprio quello italiano, un popolo “bastardo” (nel senso buono, cioè multirazziale) per antonomasia.
Qui da noi sono transitati tutti gli eserciti invasori e tutti i viandanti del mondo conosciuto dall’antichità fino ai giorni nostri ed il vantaggio dell’amalgama delle razze l’avevano già compreso gli antichi romani che avevano da subito adottato lo “jus soli” in luogo dello “jus sanguinis” nel loro codice di diritto.

Quale sostanza dovrà essere quella destinata a legarci insieme, ad essere un popolo e non un “volgo disperso che nome non ha” come risuonava il lamento nella tragedia “l’Adelchi” di manzoniana memoria? Secondo me solamente l’identità culturale prima ancora che politica può diventare un collante, la sostanza vera di una collettività chiamata a quotidiane scelte impegnative, senza abbandonare i valori fondamentali di una democrazia, valori che non hanno bisogno di legami identitari, di fedi calate dall’alto, di autoritarismo. Anzi la ricchezza di una democrazia che funziona sono paradossalmente le divisioni: divisioni dei poteri dello Stato, divisioni chiare dei ruoli pubblici e privati, divisioni delle sfere di responsabilità.
Personalmente sono disposto anche a rinunciare ad una parte della cosiddetta “sovranità nazionale” per conquistare certezza del diritto, onestà e trasparenza pubblica.

 

Luigi Timo – Castelceriolo