Il coordinamento provinciale di Potere al Popolo chiude la propria campagna elettorale giovedì 1 marzo alle ore 18 a Novi Ligure presso il bar Sottozero e alle 21 ad Arquata Scrivia presso la SOMS Piazza Nuova 1 , invitando elettori e simpatizzanti ad un incontro doppio con l’ex calciatore PAOLO SOLLIER. Saranno presenti anche DEIGO SABBI, JAMILA JAKANI e STEFANELLA RAVAZZI candidati alle politiche per la formazione di sinistra Potere al Popolo
PAOLO SOLLIER figlio di un dipendente dell’azienda elettrica, crebbe a Torino nel quartiere della Vanchiglietta dove, in giovane età, si avvicinò all’impegno sociale c, che definisce «gruppi cattolici del dissenso». Lasciata l’associazione, nel 1968 si iscrisse alla facoltà di scienze politiche, che però abbandonò dopo un anno per lavorare allo stabilimento Mirafiori della FIAT.
Successivamente, svolse l’attività di calciatore a tempo pieno, senza però rinunciare all’impegno politico: «la critica principale che mi è stata rivolta [è come si conciliava la mia militanza a sinistra con i guadagni da calciatore, ndr], ma il mio era lo stipendio di un buon impiegato. Se mi sentivo un privilegiato era per un altro motivo, perché facevo il lavoro dei miei sogni, il calciatore. Una fortuna che capita a pochi».
Dopo il ritiro dall’attività agonistica, collabora con quotidiani e riviste, tra cui Reporter, Il Mattino di Padova, Tuttosport e MicroMega. Allena per qualche anno squadre di categorie inferiori e nel 2008 pubblica il libro Spogliatoio, scritto a quattro mani con Paolo La Bua, ed esce la riedizione di Calci e sputi e colpi di testa, completata da articoli dell’epoca e recensioni.La sua notorietà è dovuta principalmente al libro Calci e sputi e colpi di testa, pubblicato nel 1976, nel quale il calciatore racconta la propria militanza in Avanguardia operaia e descrive il mondo del calcio da un punto di vista alternativo rispetto ai colleghi: nell’occasione, venne deferito dalla FIGC. Diventa emblematico il suo saluto col pugno chiusorivolto ai tifosi del Perugia, saluto che gli provoca l’antipatia delle tifoserie di segno politico opposto, in particolar modo della Lazio ebbe a ricordare anni dopo: «non era propaganda. Non era un gesto indirizzato ai tifosi ma a me stesso, per ricordarmi ogni volta chi fossi e da dove venivo. E per far sapere ai miei amici che restavo quello di sempre. Il ragazzo che al campetto, tanti anni prima, così si rivolgeva a loro. Con quello che per noi era un segno di riconoscimento».