“Alessandria è splendida, e può avere un grande futuro. Ma dobbiamo volerlo noi alessandrini per primi, e creare le condizioni perché questo accada. Se guardiamo agli ultimi quarant’anni, non sempre questo è successo. Anzi: qui ogni volta che qualcuno propone un progetto innovativo, immediatamente nasce un comitato per il no”. Pierangelo Taverna non è solo il presidente della Fondazione CrAl (“ancora per un anno: il mio mandato scadrà con l’approvazione del bilancio 2018, poi farò il pensionato”), quindi una figura nevralgica e di prima grandezza nel panorama dei ‘decisori’ di casa nostra. E’ stato anche, per lunghi decenni, un esponente politico amministrativo di grande ‘peso’, in ruoli strategici. Ricordiamone alcuni, certamente per difetto: assessore in Provincia dal 1985 al 1995, con deleghe importanti come cultura, turismo e protezione civile (“ho coordinato l’emergenza alluvione, esperienza drammatica e indimenticabile”), e dal 1992 anche vice presidente di Palazzo Ghilini. A Palazzo Rosso, invece, Taverna fu, dal 1974 al 1979, capo di gabinetto del sindaco Felice Borgoglio (qui la sua recente intervista in occasione degli 850 anni di Alessandria), e presidente del consiglio comunale nel quinquennio Scagni (2002-2007).
Dal 2009, alla guida della Fondazione CrAl, Pierangelo Taverna coordina investimenti e progetti per il territorio: “dall’università al socio assistenziale, dallo sviluppo economico alla cultura e al turismo, ce la mettiamo tutta per fare in modo che Alessandria torni a credere nelle sue potenzialità, che sono notevoli”. Basterebbe forse, qualche volta, crederci davvero, e fare squadra andando oltre logiche ‘frazionistiche’: un po’ come sta facendo Casale Monferrato in questi ultimi anni, dopo la ‘batosta’ dell’amianto. Tanto per citare un esempio vicino a noi. Ma vediamo qual è l’analisi di dettaglio del presidente della Fondazione CrAl.
Presidente Taverna, partiamo dagli anni Settanta. Lei c’era: quella era un’Alessandria che ci credeva di più, rispetto ad oggi?
(riflette, ndr) Era l’Italia ad essere molto diversa, non solo Alessandria. Ma non facciamoci ingannare dalla memoria, o dai ricordi: gli alessandrini ipercritici e disillusi lo sono per natura probabilmente, e certamente lo erano già allora. Ho vissuto quegli anni da capo di gabinetto del sindaco Borgoglio, e ricordo benissimo le battaglie per il piano regolatore, da un lato il sogno di Alessandria città a vocazione industriale, da 200 mila abitanti almeno, dall’altra il timore che lo diventasse davvero, e poi comunque la scelta di privilegiare la piccola media impresa di territorio.
In effetti l’unico vero grande insediamento ‘da fuori’ fu Michelin: però piccola industria e artigianato locali ‘tiravano’, eccome…
Certo, c’erano filiere produttive importanti, che indubbiamente nei decenni sono andate via via ridimensionandosi. Insisto: il nostro grande, e grave, limite è sempre stata la ‘chiusura’ di fronte al nuovo: gli alessandrini tendono a cogliere nell’innovazione sempre più il rischio che non l’opportunità. I risultati oggi sono sotto gli occhi di tutti però..
Facciamo esempi concreti di treni persi….
Sono innumerevoli, e non è un esercizio divertente. Ma facciamolo, a partire da un ex zuccherificio che ancora è lì, rudere e archeologia industriale. Ma ogni volta che sono stati avanzati progetti, c’è sempre stato un comitato del meglio di no. E la Cittadella? Quand’ero presidente del consiglio comunale, ossia ormai 15 anni fa, proposi per la fortezza un grande progetto di recupero militare, in sintonia con la sua vocazione originale. L’idea era di farci una sede permanente dell’esercito dell’Unione Europea: anche perché solo dall’Europa credo possano arrivare le ingenti risorse necessarie ad un vero recupero e rilancio. Invece siamo al punto di partenza, o quasi. Ora non so cosa si farà: ma mi auguro davvero che qualcosa si faccia, altrimenti….
Vogliamo citare anche piazza Garibaldi, presidente? Da trent’anni ‘girano’ progetti per il suo rifacimento, e il parcheggio sotterraneo è solo una parte del ‘disegno’: eppure c’è sempre qualcuno che ‘storce’ il naso.
Appunto: ma basta guardare in giro per l’Italia, e si vede che tutte le città di medie dimensioni hanno ormai optato per parcheggi sotterranei, o multipiano in periferia: valorizzando le piazze ‘storiche’ ad usi più intelligenti, e culturali. Da noi invece le piazze, anche le più belle, sono sinonimo di parcheggio.
Presidente, lei concorda con l’ex sindaco Borgoglio sul fatto che i problemi finanziari del comune di Alessandria, che lo hanno portato fino al dissesto di questi anni, sono cominciati con il post alluvione?
Certamente il comune di Alessandria, al momento dell’elezione del sindaco di Alessandria nel 1993, era una realtà con attivi di bilancio importanti, e con un sistema di municipalizzate che funzionava. Ricordo poi che all’epoca la partecipazione era realtà: ci inventammo, già negli anni Settanta, i consigli di quartiere. Organismi di non facilissima gestione, ma che consentivano davvero un ‘ascolto’ delle istanze dei cittadini, frazione per frazione. Fummo tra i primissimi comuni all’epoca a fare una scelta simile, venne anche la Rai a raccontare l’esperienza. L’alluvione in realtà fu, oltre che tragedia, grande occasione perduta. Arrivarono in città, in pochi anni, risorse pubbliche e private per quasi 500 miliardi di lire. Utilizzare giustamente per la ricostruzione e riqualificazione di una parte della città. Ma se, al contempo, si fossero aperti adeguati mutui per investimenti (e si poteva: la legge lo consentiva per cifre importanti) anche nelle altre aree comunali, quelle non alluvionate, questo avrebbe consentito di modernizzare davvero le infrastrutture del territorio. Invece si preferì ‘cambiare pelle’ e professionalità dei dipendenti comunali. Sa con quale risultato? Negli anni Settanta, su 500 dipendenti, 400 almeno erano sulla strada, a fare manutenzione di strade, fossi, caditoie, edifici. Un centinaio negli uffici: eppure non c’era neanche l’informatizzazione di oggi. A partire dagli anni Novanta si sono ribaltati gli equilibri, con il risultato che oggi i dipendenti di Palazzo Rosso sono quasi tutti funzionari interni. Cantonieri, operai e personale che lavori ‘in strada’, svolgendo anche presidio del territorio, non ne abbiamo praticamente più.
Guardiamo al futuro di Alessandria. Siamo una città di pensionati, da cui i ragazzi tendono ad andarsene, sia pur a malincuore. Si può invertire la tendenza?
Non solo si può, si deve. E dipende davvero soltanto da noi. Personalmente rimango convinto che le leve principali per il rilancio di Alessandria siano due, anzi tre: logistica, università e sanità.
Parliamone: la vocazione logistica la dichiariamo da sempre. Però poi al momento opportuno gli investimenti importanti vanno altrove…
Per forza, se non siamo in grado di intercettarli, ed incentivarli. Mi piacerebbe che ci fossero amministratori, a Palazzo Rosso, capaci di decidere investimenti sulle aree industriali, mettendo a punto capannoni e strutture che poi si vanno a ‘vendere’, con la valigetta in mano. O si impara ad essere attrattivi, o sarà sempre più dura…
Vale anche per il commercio?
Assolutamente sì. Pensi agli ultimi decenni: dai vari Iper o Mercatoni che in passato si sono insediati nel vogherese o tortonese, all’Outlet, ad Amazon. Tutte opportunità che qui sono state vissute come pericoli da evitare. Il risultato? Il progresso non lo abbiamo fermato, ma queste realtà si sono installate altrove, portando in altre zone occupazione e tasse. E gli alessandrini nel week end prendono l’auto e vanno….oppure oggi, con Amazon, fanno tutto da casa, con la rete.
L’Università però oggi c’è, ed è una bella realtà: dai primi corsi ‘decentrati’ da Torino sono passati più di trent’anni…
Eppure dobbiamo ancora compiere un passo decisivo: diventare non una città con l’Università, ma una città universitaria. Ossia da un lato fornire a studenti e docenti una serie di migliori opportunità sul fronte dei servizi, dall’altro imparare a ‘vivere’ l’Università, e a ‘sfruttarla’, nel senso migliore del termine. Vorrei vedere una più forte interazione fra le strutture dell’Ateneo e la città, sul piano degli eventi e dei progetti culturali, ma anche delle ricerche commissionate da strutture pubbliche e private, ad esempio. Come Fondazione sosteniamo l’Upo con un contributo di 150 mila euro l’anno, ma soprattutto cerchiamo di stimolare la crescita di una ‘rete’ di soggetti capaci di fare squadra, e di sviluppare idee. Da qualche anno sono partiti anche i corsi di laurea in Economia e in Lettere, e ora non nascondiamo il nostro fattivo impegno sul fronte della Scuola di Medicina: sarebbe davvero un lievito vitale per la città, per ragioni che non è difficile intuire.
Facoltà di Medicina, ma anche Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) e nuovo ospedale: un tris di assi che potrebbe davvero fare ‘svoltare’ tutto il territorio…
Che la sanità sia una delle principali leve di crescita dell’economia è sotto gli occhi di tutti. Che ad Alessandria esista lo spazio non solo per ‘gemmare’ il corso di laurea in Medicina, ma anche per avere un Centro di Ricerca specializzato sul mesotelioma (la Lombardia ha una ventina di IRCCS, il Piemonte solo uno, a Candiolo), mi pare evidente. Con il dottor Maconi, nella sua doppia veste di vice presidente della Fondazione, ma anche di dirigente ospedaliero, ci stiamo lavorando da anni. Certo, anche da parte di tutta la città, classe dirigente e non, è auspicabile un forte coinvolgimento: bisognerebbe andare oltre il nostro solito disincanto, insomma. Per il nuovo ospedale è lo stesso discorso: sia per ragioni logistiche, sia per ragioni di modernità ed efficienza energetica, è chiaro che un conto è cercare di ottimizzare l’esistente, altro sarebbe poter puntare su una struttura completamente nuova. Formule per finanziare l’investimento ne esistono diverse: se ci sono volontà e unità di intenti le risorse si trovano sempre.
Presidente Taverna, ha mai pensato di candidarsi sindaco? Non è che medita un ritorno alla politica, alla scadenza del suo mandato in Fondazione, fra un annetto?
Fra un anno medito di fare il pensionato: e non è una battuta. Anzi, mi sto già preparando: c’è una stagione per tutto. Aggiungo però che oggi fare il sindaco è impresa davvero titanica: esistono talmente tanti vincoli, rischi, limitazioni di legge che, anche ammesso e non concesso che si abbia una visione di città, e si sappia dove si vorrebbe andare, non sempre è automatico poterci andare.
E la Fondazione? Ci spiega una volta per tutte il meccanismo delle nomine dei diversi organi?
Il nostro Statuto si trova on line sul sito, e lì c’è tutto. In realtà in questi anni abbiamo deciso da un lato di ridurre drasticamente i costi di gestione, ‘snellendo’ anche gli organi della struttura, dall’altro di aprirci sempre più alla società. Per cui, ad esempio, con l’approvazione del bilancio 2017 scadrà, tra qualche mese, il consiglio di amministrazione. Il nuovo cda sarà composto soltanto più da 5 membri, e non da 9, e nominato dal consiglio di indirizzo. Al suo interno tra un anno, alla scadenza del mio mandato, verrà individuato il nuovo presidente. Il consiglio generale, oggi costituito da 15 membri, sarà rinnovato nel corso del 2019, man mano che scadono i singoli consiglieri, e il nuovo sarà costituito da un massimo di 12 membri. A designarli, presentando terne di nomi, saranno molti soggetti territoriali, tra cui il comune di Alessandria (1), gli altri centri zona (1 complessivo) la Prefettura (1), la diocesi di Alessandria (1), le altre diocesi di territorio (1 complessivo), la Camera di Commercio (1) e poi ancora il comitato per i beni culturali della provincia, la Croce Rossa e Verde e così via: abbiamo ampliato notevolmente il ventaglio della partecipazione, proprio perché vogliamo essere sempre più rappresentativi della società nelle sue diverse articolazioni.