Mayno della Spinetta, il Robin Hood della Fraschetta: i colpi più clamorosi [Alessandria in Pista]

Remottidi Mauro Remotti

 

 

Per due anni (esattamente dal 1804 al 1806) la banda di Mayno tenne in scacco la polizia imperiale francese. Secondo i documenti ufficiali, gli assalti e le scorribande dei mainotti, in tutto il territorio alessandrino si intensificarono soprattutto nell’anno 1805[1], tanto che la gendarmeria e le autorità del Dipartimento di Marengo posero sulla testa di Mayno e dei suoi complici una taglia di 3000 franchi, scatenando una vera e propria caccia all’uomo, che tuttavia non portò a risultati apprezzabili.

Mayno era noto ai francesi come il bandito di Marengo, e definito terreur des Departements au delà des Alpes. Giuseppe amava invece definirsi Re di Marengo e Imperatore delle Alpi, in sberleffo a Napoleone.

Mayno della Spinetta, il Robin Hood della Fraschetta: i colpi più clamorosi [Alessandria in Pista] CorriereAl 1

Lo stesso Bonaparte, che il 26 maggio 1805 fu proclamato re d’Italia nel Duomo di Milano[2], qualche settimana prima si recò ad Alessandria per la rievocazione della battaglia di Marengo. In quell’occasione, venne informato dalle autorità locali in merito alla difficile situazione concernente l’ordine pubblico. L’imperatore decise quindi di scrivere al proprio ministro di polizia, Joseph Fouchè[3], affinché fornisse alla gendarmeria i mezzi necessari per la ricerca e la cattura dei briganti che grazie alle loro spettacolari azioni diventavano sempre più apprezzati dalla gente della Fraschetta.

In effetti, sono molte le imprese che hanno visto protagonista la banda di Mayno: alcune arcinote, oltre che vere (attestate da documenti presenti nell’Archivio di Stato di Alessandria e anche presso l’Archivio nazionale di Parigi), altre invece appartengono alla tradizione orale popolare[4].

Uno degli episodi più celebri riguarda l’assalto a una carrozza di Pio VII[5], avvenuto  negli ultimi mesi del 1804 quando il pontefice doveva recarsi a Parigi per incoronare Napoleone Bonaparte. Dopo aver soggiornato a Palazzo Ghilini, Pio VII e il suo convoglio attraversarono la boscaglia della Fraschetta. Nei pressi di San Giuliano Vecchio, al bivio per Torre Garofoli, una vettura fu fatta fermare da finti uomini d’affari, in realtà fuorilegge della “Banda di San Giovanni”, che con la scusa di ottenere un passaggio condussero poi la carrozza in un luogo stabilito laddove venne trafugata una cassetta colma di gioielli[6]. Secondo la leggenda, al ritorno il convoglio fu nuovamente fermato da alcuni membri della banda che s’inginocchiarono dinanzi al papa chiedendo perdono per le loro malefatte, offrendogli doni e una scorta per oltrepassare la Fraschetta.

Mayno della Spinetta, il Robin Hood della Fraschetta: i colpi più clamorosi [Alessandria in Pista] CorriereAl 2

Un’altra famosa rapina interessò una carrozza che trasportava il ministro plenipotenziario presso la Repubblica Ligure, Antonio Cristoforo Saliceti[7], e il generale Édouard Jean-Baptiste Milhaud[8]. Dopo aver loro intimato di scendere dalla vettura imbracciando il fucile[9], Mayno, come gesto di scherno, strappò dalla divisa di Milhaud la croce della Legion d’onore per appuntarsela al petto.

I ricchi borghesi, spesso filo-francesi, per ideali o per opportunismo, furono le vittime preferite della banda di Mayno della Spinetta. Tra questi il nobiluomo Giovanni Franzini, che venne “visitato” la sera del 21 novembre 1805. I briganti, travestiti da soldati francesi, pretesero dal Franzini la considerevole somma di 20.000 lire. L’aristocratico non aveva però con sé denaro a sufficienza, e chiese tempo per ottenerlo in prestito dagli amici[10]. Nel frattempo, i mainotti trattennero in ostaggio la sua famiglia[11]. In seguito, forse per intercessione del parroco, decisero di accontentarsi di una parte del riscatto e rilasciarono gli ostaggi[12].

Come ricorda Bruno Santelena: “Il nome di Giuseppe Mayno era su tutte le labbra (…) Si cominciò a dire che Mayno non era ne’ un assassino, ne’ un malfattore volgare (…) che chi aveva bisogno di denaro poteva rivolgersi a lui (…) Molte storie (…) già correvano su di lui, sui suoi sistemi, sulla sua lealtà”.

A tale proposito, si racconta che la banda di Mayno riuscì a bloccare la carrozza che portava il colonnello Martin de la Tournière a Parigi e si impossessò di una considerevole somma di denaro (presumibilmente mezzo milione di franchi) frutto delle tasse locali. Lo stesso Mayno, dopo avere ucciso l’ufficiale che lo aveva proditoriamente sfidato a duello, decise di donare ai poveri la metà di quel denaro. Il cadavere senza vita del povero colonnello venne invece sistemato sulla vettura e fatto recapitare come monito al generale Despinois.

Mayno della Spinetta, il Robin Hood della Fraschetta: i colpi più clamorosi [Alessandria in Pista] CorriereAl 3

La generosità di Giuseppe Mayno, si rivelò in molte altre circostanze. Ad esempio, sotto le mentite spoglie del medico Paletta da Milano, si fece ricevere in Curia alla presenza del Vescovo di Tortona a cui raccontò di un incontro fortuito con l’illustre bandito al quale aveva curato la giovane moglie. Per i suoi servigi, aveva ricevuto in cambio una croce d’oro e una preziosa tabacchiera, che avrebbe volentieri donato alla Chiesa. Il Vescovo ne fu felicissimo: guarda caso, gli uomini di Mayno gli avevano sottratto qualche tempo prima proprio quegli stessi oggetti di gran valore!

Mayno aveva una leggendaria abilità nei travestimenti[13] e gli piaceva prendersi gioco dei francesi. Una sera si recò in un’osteria camuffato da carbonaio e fraternizzò con un  brigadiere e alcuni gendarmi francesi sparlando a proposito di quel delinquente di Mayno! Uscito un attimo da locale, tagliò i sottopancia di cuoio ai cavalli delle guardie, tranne quello del loro capo, dopodiché, tornato dentro, svelò la propria identità. Approfittando del momento di smarrimento, balzò in groppa al cavallo del brigadiere, sparendo nella notte. I gendarmi al momento di infilare il piede nelle staffe per inseguirlo finirono rovinosamente a terra.

Mayno era spietato con i traditori: fece inchiodare all’olmo della giustizia[14] il cadavere di Gabot (il camparo Galba), un impostore che si annidava tra le file dei suoi uomini. Al corpo senza vita fu attaccato un cartello con la scritta: “Così si fa ai tiranni che non rispettano la Compagnia di San Giovanni”. Anche un tal Bruzotto, detto Brusla, guardia campestre, fu ucciso per aver fatto la spia a favore dei francesi e dei gendarmi.

Una curiosità: non soltanto a Napoleone, ma anche a Mayno, antagonista del “piccolo corso”, è attribuito un “platano”, che ancora oggi si trova in prossimità di Mandrino (Frugarolo) vicino all’ingresso della storica Tenuta Camilla. Pare infatti che Mayno, quando era inseguito dalla polizia, rimanesse appollaiato tra i sui rami per notti intere.

Mayno della Spinetta, il Robin Hood della Fraschetta: i colpi più clamorosi [Alessandria in Pista] CorriereAl

Infine, si narra che anche il noto piatto chiamato “ciapilaia” o “ciapulaia[15] (a base di carne di cavallo e vino) sia da attribuire al famoso bandito di Spinetta. Secondo alcuni, i cavalli depredati durante le rapine alle carrozze venivano utilizzati per sfamare, in modo pratico e veloce, i giovani fuorilegge costretti a nascondersi nella selva della Fraschetta.

(continua)

 

 

Note

[1]Il generale Hyacinthe Despinois, comandante francese della piazza di Alessandria, era fortemente preoccupato poiché  l’attività dei briganti diventava sempre più frenetica. Il 10 febbraio 1805 tre viandanti furono ammazzati durante una rapina nei pressi di Pozzolo Formigaro. Il primo aprile dello stesso anno un ex frate venne ucciso a Lobbi. Persino Gaspare Villavecchia, procuratore capo di Alessandria, fu aggredito sulla porta di casa dai briganti frascaroli, non sopravvivendo alle ferite ricevute.

[2] Secondo alcuni racconti, anche Mayno assistette, insieme a Cristina, all’incoronazione di Napoleone a Milano. In quella occasione incontrò addirittura l’imperatore che gli propose di consegnare i componenti della banda in cambio di un salvacondotto per sé e i suoi familiari. Ovviamente Mayno rifiutò sdegnato. Un ultimo ripensamento lo ebbe quando, dopo aver  girato l’Italia con la moglie, si fermò a Livorno dove nacque sua figlia. Si ripropose infatti la possibilità di emigrare in America e successivamente facilitare l’espatrio anche degli altri mainotti. Il fermo rifiuto di Cristina fece tramontare definitivamente tale progetto.

[3] Joseph Fouché (Nantes31 maggio 1759 – Trieste26 dicembre 1820) viene considerato il fondatore della moderna polizia politica.

[4] Si narra di una beffa operata da Mayno nei confronti dei gendarmi che finirono per montare la guardia per un giorno intero a un inquietante cesto, che conteneva… conigli e volatili. Da ricordare anche la spettacolare messa di consacrazione della nuova banda che Giuseppe volle celebrata nel suo covo in valle Scrivia.

[5] Pio VII, al secolo Barnaba Niccolò Maria Luigi  Chiaramonti, nacque a Cesena il 14 agosto 1742 e morì a Roma il 20 agosto 1823.

[6] Scrive Michele Ruggiero“I francesi dopo questo fatto sono sgomenti: il proprio prestigio di fronte al Papa è duramente scosso, a Parigi l’Imperatore si infuria; il prefetto di Alessandria, il Dauchy, emana ordini severissimi: bruciare le capanne di foglie sparse nella campagna, che sono sempre state un comodo rifugio per i malviventi, far girare le pattuglie, fermare i sospetti, arrestare i senza mestiere. Si giunge ad estremi mai visti, neppure durante la guerra: nottetempo vengono sbarrate le porte della città, le ronde perlustrano vie e piazze”.

[7] Saliceti, uomo forte del nuovo ordine francese, nacque a Saliceto, in Corsica, il 26 agosto 1757 e morì improvvisamente (forse a causa di un avvelenamento) il 23 dicembre 1809 a Napoli.

[8] Édouard Jean-Baptiste Milhaud (Arpajon-sur-Cère10 luglio 1766 – Aurillac8 gennaio 1833) assunse diversi prestigiosi incarichi, tra i quali: comandante militare della Repubblica Ligure, governatore di Mantova (1801) e di Genova (1803).

[9] Il fucile di Mayno era detto spacciafosso, dal calcio costellato di brachette (tanti quanti i gendarmi francesi uccisi), pieghevole e facile da nascondere. Si dice che qualcuno sia ancora in possesso del celebre fucile: forse un discendente del proprietario della cascina Stortigliona che più volte accolse Mayno quando era ricercato dalla polizia. Per restare nel mito, si narra che fosse fatato, così come gli stivali che permettevano al bandito  di  sfuggire velocemente a tranelli e imboscate.

[10] Sembra che tra i cosiddetti amici di Franzini rientrasse anche il banchiere e avvocato Carlo Capsone, probabilmente in combutta con i mainotti (sarà infatti più tardi arrestato dai francesi con tali accuse). Il medesimo Capsone consigliò al Franzini di non portare con sè il denaro raccolto (circa 3.600 lire), ma di inviare una persona fidata a consegnarlo.

[11] Secondo diverse fonti fu rapito soltanto il figlio minore del Franzini, che previo pagamento del riscatto fu poi riconsegnato alla madre (precocemente incanutita per via del dolore). Pare che il bambino, ospitato durante il sequestro nella dimora di Giuseppe Arzone, cognato del Barberis, si fosse trovato talmente bene da non voler più tornare a casa!

[12]La polizia ne venne comunque a conoscenza e aprì ufficialmente un’inchiesta.
Fatti simili erano già accaduti anche ad altri borghesi, tali Pavese e Peloso di Novi Ligure, e pure a un ricco abitante di Castelnuovo. Il Franzini fu ancora contattato dalla banda di Mayno con la richiesta di altro denaro da consegnare al parroco di Spinetta. Il nobiluomo chiese allora al sacerdote (don Paolo Crova, che sarà successivamente arrestato quale complice della banda) di intervenire presso i briganti affinché desistessero dalla loro esosa estorsione.

[13] Giuseppe Mayno si camuffò in molteplici modi (da donna, da frate, da mendicante). Un volta, travestito da gendarme, girovagò tranquillo per Alessandria e si fece persino ospitare nella carrozza del capo della polizia. In un’altra occasione, vestito da gran signore, si recò tranquillamente  ad Alessandria ad assistere a uno spettacolo teatrale.

[14] Era un albero situato nella piazzetta della Chiesa parrocchiale di Spinetta.

[15] Il Golosario (www.ilgolosario.it) ci fornisce la ricetta: Tagliate la carne a pezzettini piccolissimi o sminuzzatela al coltello. Mettete la carne così tagliata in una ciotola, unite il lardo battuto, l’aglio diviso in metà, il mazzetto aromatico e le verdure tagliate a grossi pezzi, mescolate e fate riposare in frigorifero per alcune ore. Prelevate i pezzi di cipolla dalla carne, tritateli e fateli appassire in un tegame in poco olio. Aggiungete la carne con gli aromi e le verdure, fatela rosolare un poco poi bagnatela con un bicchiere di vino bollente. Fate evaporare, regolate di sale e pepe, bagnate con il restante vino, mettete il coperchio e cuocete a fuoco dolce per quasi 2 ore. Verso metà cottura, eliminate le verdure a pezzi e il mazzetto aromatico. Quando il vino risulterà pressoché consumato, aggiungete un poco di brodo. Non aggiungete mai vino verso fine cottura perché non perderebbe l’acidità. Servite con polenta.