L’estate di Adriano lo potete leggere qui (prima parte) e qui (seconda parte)
“Nella sacca del tennis custodiva gelosamente sei chiodi storti e arrugginiti. Erano i suoi portafortuna. Li aveva con sé a Santiago. Li conserva ancora oggi.”
da ‘Sei chiodi storti (vite inattese)’ di Dario Cresto-Dina, ed. 66thand2nd
(un libro davvero bello. Tutte le citazioni tennistiche sono tratte da lì. I sei chiodi storti stavano nella sacca del tennis di Adriano Panatta)
Come scrivevo nella seconda parte di ‘L’estate di Adriano’: l’8 agosto 1976 a Wimbledon la squadra italiana di tennis con Panatta, il suo compagno di doppio Paolo Bertolucci, e Tonino Zugarelli che per una volta, visto che si gioca sui campi in erba sostituisce in singolare Barazzutti, vince la finale europea di Coppa Davis.
“Corrado Barazzutti è poco più di un bambino quando scopre la pesca nelle albuminose acque invernali del Tanaro alessandrino. Durante la regolare stagione della pesca è un’avventura quasi quotidiana. Non è lì soltanto per le carpe e i cavedani. Gli piacciono la solitudine e l’energia nascosta dentro le quali scorre il fiume (…)Sulla sponda del Tanaro, a differenza di quanto si potrebbe presumere dalla sua biografia, non impara la pazienza ma a dissimulare il suo contrario.”
Barazzutti, friulano, è un bambino che all’epoca si sarebbe detto linfatico, che capita ad Alessandria per il lavoro del padre nella stradale. “Lo adotta il maestro Giuseppe Cornara. Lo plasma tecnicamente, non ha bisogno di insegnargli la tenacia.”
Barazzutti è brutto da vedere, sgraziato, il classico pallettaro, per usare un altro modo di dire allora molto in voga. Di solito ribatte di là la pallina una volta di più di quante l’avversario possa sopportare. L’unico che contro di lui non cede mai è lo spagnolo Higueras, bestia nera sua e degli azzurri. Attenzione: il fatto che non fosse molto talentuoso né tantomeno bello da vedere non vuol dire che sia stato uno scarso, tutt’altro: ha vinto l’Orange Bowl, all’epoca una specie di mondiale under-18, e arriverà tra i primi dieci in classifica in un momento in cui i nomi di quelli davanti a lui sono Borg, Connors, McEnroe, Vilas…
“Le patate sono sempre state il simbolo della povertà, e della sopravvivenza. Tonino (Zugarelli) ne ha mangiate tante. La sua famiglia non possedeva nulla, se non l’istinto dei naufraghi. Il padre era arrivato a Roma dalla Sicilia, faceva il muratore. Lavoro che c’era e non c’era, dipendeva da amicizie, favori, alti e bassi del settore edile, dal freddo e dal caldo delle stagioni. Tirò su una casa abusiva ai Colli della Farnesina: una stanza, un cucinino, un piccolo bagno, il tetto di lamiera. Vi portò la moglie e i tre figli piccoli. (…) Non è mai andato d’accordo con Nicola. Mai. Pelle, istinto, diffidenza, lignaggio, modo di stare al mondo. Nicola sempre in prima fila, anzi, mezzo passo più avanti della linea, Tonino nell’angolo in alto a sinistra della fotografia, l’aria di quello fatto tornare indietro mentre stava uscendo dall’inquadratura o dell’intruso ritratto per caso. (…) «Belarda» porta in campo Panatta e Zugarelli per un’ora di riscaldamento. Tonino è arrabbiato, vince il set di allenamento e negli spogliatoi Belardinelli gli mette una mano sulla spalla: «Tienti pronto Toni, preparati a giocare. A Nicola lo dico io». Di fronte alle insistenze del direttore tecnico, Pietrangeli si arrende e modifica la formazione.”
Contro l’Inghilterra Panatta e Bertolucci il doppio l’avevano pure perso, una delle rare sconfitte in Davis. Quindi fu fondamentale la vittoria di Zugarelli, nel primissimo incontro sull’inglese Taylor (nel terzo giorno, a punteggio ormai acquisito, Tonino batte anche “il signor Evert” John Lloyd).
L’estate di Adriano poi, a fine settembre, finisce dov’era in gloria iniziata. Sulla terra rossa amica del Foro Italico. Lì Panatta aveva vinto gli Internazionali d’Italia del 1976, antipasto del trionfo al Roland Garros. Lì con gli altri campioni della nostra squadra di Coppa Davis conquistiamo la finale mondiale, tra il 24 e il 27 di settembre, battendo l’Australia. Gli aussie si affidano ai gloriosi, però ormai arrugginiti, Newcombe e Roche. La partita non è comunque facile ma, insomma, la finale arriva. E ne inizia un’altra di partita, molto più difficile, tutta giocata fuori dalle righe del campo da tennis per andarla a giocare la finale contro il Cile, là a Santiago nello stadio dove pochi anni prima erano rinchiusi i prigionieri dopo il golpe fascista di Pinochet.
“Cazzo. Cazzo cazzo cazzo. Figa. Fregna ciorgna. Figapelosa, bella calda, tutta puzzarella. Figa di puttanella. Niente. Una volta con le filastrocche ci venivo, o almeno mi veniva voglia. Dicevo le parolacce e poi ridevo, se ero con i miei amichetti. Se ero sola le pensavo, le dicevo a mezza voce e poi mi infilavo le mani nelle mutandine, rapida rapida, con un occhio alla porta e le orecchie così tese che sentivo fischiare le scale.”
Così inizia ‘Porci con le ali. Diario sessuo-politico di due adolescenti‘, scandalo (la procura di Roma lo fa anche sequestrare su tutto il territorio nazionale per oscenità proprio nei giorni in cui infine si decide che si andrà a Santiago) e fenomeno dell’anno, anzi di una generazione.
A casa mia non arrivò. Io ero troppo giovane, e comunque i miei troppo “cara, piccola borghesia” per pensare che un libro del genere potesse anche solo riuscire a varcare l’uscio.
Porci con le ali lo firmano Rocco e Antonia.
Antonia è Lidia Ravera. Studi al liceo classico statale Vincenzo Gioberti di Torino. Quando il libro esce ha 25 anni. Diventa scrittrice e giornalista. È attualmente assessore della giunta regionale del Lazio presieduta da Nicola Zingaretti.
Rocco, lo si ricorda meno, è Marco Lombardo Radice. Ha ascendenti importanti, suo nonno materno è Arturo Carlo Jemolo, cattolico liberale, storico e giurista. Quando il libro esce ha 27 anni. Psichiatra, si occupa degli adolescenti, adottando anche con loro le tecniche e il pensiero che in quegli anni stavano rivoluzionando le terapie, finalmente umanizzandole (la legge Basaglia entrerà in vigore due anni dopo. La gente generalmente ne diceva che era la legge che aveva aperto i manicomi e rimesso i matti per le strade). È morto giovanissimo, d’infarto a 40 anni.
(la seconda parte la prossima settimana: in Cile a giocare, alla fine, si va)