Si chiude l’anno in compagnia di un autore lomellino di nascita e alessandrino di adozione, Pier Emilio Castoldi, e del suo romanzo, Io sono Vento, dove si racconta una storia partigiana, di quelle che piacciono a me (e spero a tanti altri), una storia di ribellione per riscoprire il valore della libertà in un’Italia occupata dalla follia nazifascista e di un’Europa dilaniata dai bombardamenti.
“A diciott’anni ero un giovane bersagliere appena arruolato, dice di sé lo stesso protagonista del romanzo, con poca pratica di armi e nessuna esperienza al fronte. Mi trovavo in una caserma dell’Emilia quando arrivò l’otto settembre. Allora, con l’armistizio, giunsero anche i tedeschi che mi condussero in un campo di lavoro. Marcél ed io fuggimmo attraverso il confine con la Svizzera. Il francese morì e io me ne tornai a casa dove presi la decisione di fare il partigiano, partendo alcuni giorni dopo per Voghera. Oltrepassato il passo del Brallo proseguii scendendo per Santo Stefano d’Aveto e poi per Montevaccà, Bedonia, Compiano, e infine Borgo Val di Taro, dove entrai nel giugno del ‘44.”
Io sono Vento ne racconta la storia, da quei primi di giugno lunga pochi mesi, finché, passata l’estate tutto ebbe fine. Ma furono giorni in cui successe qualcosa di straordinario. E Pier Emilio Castoldi traccia i solchi profondi non solo degli eventi, ma anche di ciò che in quei momenti legò tra loro amicizie profonde, solidarietà e complicità, oltre ad istanti interminabili di amori e di battaglie cruente.
Settimo capitolo
Passammo la notte in un casolare sperduto sopra Belforte. Uno di guardia e gli altri a darsi il turno a riposare sopra un pagliericcio improvvisato. Dragotte invece s’era coricato su una trèggia scovata sotto il portico, e s’era addormentato come un sasso.
Rimasi per qualche tempo a guardarmi attorno, seduto a terra con la schiena a ridosso di un castagno, deciso forse ad aspettare l’alba.
Il refolo che soffiava a intermittenza tra le fronde frusciava una sua melodia. L’unica da riuscire ad ascoltare in quella quiete inverosimile.
«Vento» pensai «non so come alla Gina sia tornata in mente quella scemenza… ma Vento mi piace. Mi piace proprio! Da il senso di qualcosa che spazza via… che pulisce… che arriva, colpisce e se ne fugge… una roba che monda tutte queste brutture, il bombardamento di oggi… e tutto quest’odio che devasta il mondo».
Sorrisi tra me fumandomi l’ultima Serraglio rimasta: «Oh! Non sarò certo io a rovesciare le cose. È un mondo molto… troppo più grande di me… ma ognuno… questi ragazzi… ognuno di loro ha in mente questo!»
Il sonno mi accarezzò le palpebre ma la notte era un incanto.
«Che tutti abbiano resa indietro la loro vita, il loro lavoro, la loro dignità… quella fierezza che sembra essersi perduta e quel sentimento comune… quella libertà che ora non gli è concessa… quel desiderio di riscattarsi dall’oppressione di un regime ostile fatto di prepotenze, soprusi e viltà… vigliaccheria… liberarsi di un nemico che vive di vessazioni… all’infuori di qualsiasi umanità e giustizia».
Nella vallata le ombre nere dei faggeti si perdevano sul fondale scuro del cielo, interrompendo d’un tratto la volta stellata all’orizzonte. Non ricordavo di averne mai visto uno così bello. Una via lattea talmente splendente da sembrare dipinta. Soffiai del fumo in aria guardando verso nord.
Rodrigo si venne a sedere di fianco a me.
«Nei prossimi giorni ne incontreremo molti di nuovi ribelli».
«Dovrei andarci d’accordo» gli risposi «mi ci trovo bene con quelli della mia specie!»
«La maggior parte sono ragazzi… come te… come Ailù, hai visto… lui ha appena compiuto diciannove anni»
«Un po’ presto per fare a botte con il nemico».
«Non credere, sai. Anche dalla sponda opposta ci sono dei ragazzi» mi disse «È questa la vera porcheria… questa schifezza delle ideologie che ci hanno diviso».
«Abbiamo intrapreso strade diverse».
«Ma siamo pur sempre italiani» sospirò «tra poco, quando tutto questo sarà finito… spero proprio che si torni ad essere un solo popolo… che si caccino via tutte queste incomprensioni… e che si possa avere di questi momenti… di questo periodo… una memoria condivisa».
«Che intendi dire?»
«Che ognuno crede fermamente in ciò che fa… che sta facendo» mi guardò serio nella penombra «che anche quegli altri… anche se ci sparano addosso… anche noi spariamo loro… capisci in che merdaio ci siamo messi?»
«Ci penseremo finito questo… merdaio».
«Ho paura che possa anche finire tragicamente per chi perderà!»
«Non si fanno prigionieri!» gli dissi.
«Non ci dovrebbero più essere prigionieri, né avversari, né fanatici che sognano di conquistarsi il mondo… altrimenti si ricomincia».
Strappò un filo d’erba che si cacciò in bocca.
«Perché non te ne sei restato dalle tue parti?» mi chiese.
«Per non coinvolgere i miei familiari, gli amici… chiunque mi conoscesse» risposi « e poi… le bande che ci sono dalle mie parti… voglio dire… mi sembrano lavorare ancora senza una logica, senza razionalità… un po’ come vengono definite dai fascisti… delle bande di briganti… malfattori».
«Lo scopo è di dipingerci così… come ladri, dei rubagalline farabutti agli occhi dell’opinione pubblica… dei contadini».
«Però per qualche verso… è vero. Manca un certo coordinamento».
«Stiamo cercando di organizzarci con quelli della Val di Ceno… a giorni dovremmo ritrovarci a Caffaraccia per vedere un po’ il da farsi… su come organizzarci…» disse «dovremmo darci una struttura più solida… dovremmo concertare tra bande, agire meno casualmente in modo da essere più efficaci».
«Più militari» sottolineai.
«Su questo siamo messi discretamente bene» precisò «noi tutti siamo gente che nella vita aveva altro da fare… io ad esempio ero un professore…lettere e filosofia»
«Cosa vuol dire che siamo messi bene?»
«Che un certo sistema gerarchico che assomigli a qualcosa di militare ce lo stiamo dando».
Probabilmente si accorse del mio sguardo incuriosito. Incredulo.
«Gli alleati ci stanno chiedendo collaborazione» continuò Rodrigo «abbiamo saputo che il 28 maggio, pochi giorni fa, il maresciallo Alexander ci ha chiesto di compiere azioni di disturbo o di intensificarle… praticamente ci ha chiesto di aiutarli, nelle nostre possibilità, a rendere la vita dei nazisti un po’ più complicata… di rendergli difficile muoversi sul territorio, spostarsi con le truppe e i mezzi… anche di compiere sabotaggi sulla linea ferroviaria La Spezia Parma che rimane un transito cruciale per la loro presenza».
«Che ne sa questo Alexander di cosa facciamo noi?»
«Abbiamo contatti con loro…» disse «non solo per la fornitura di armi e munizioni, talvolta cibo… ma anche… presto avrai modo di conoscerli».
«Chi?»
«Fai troppe domande! E chi fa troppe domande viene misurato con sospetto. Impara!»
«Hai ragione» risposi.
Si alzò da seduto, si spazzolò i calzoni e si infilò le mani in tasca. Mi alzai con lui, stringendomi nel giaccone.
«Ad ogni modo avrai maniera di conoscerli» disse «si tratta del colonnello Bayer, del maggiore Clifford e di Bob… lui è tenente… lo chiamiamo Bob come diminutivo di Robert… Robert Marshall… è gente straordinaria… zucconi come lo sono gli inglesi, ma terribilmente leali e schietti».
Mi prese per un braccio e mi trascinò con sé per il sentiero.
«Comincia a far freddo e poi… dovresti chiudere occhio» mi disse «domattina ci aspetta una lunga camminata».
«Non conto più i chilometri che ho fatto».
«Domani si torna a Caffaraccia per provare un po’ se ci riesce di mettersi d’accordo con Dario».
Lasciammo dietro di noi quello spettacolo di mondo racchiuso in una valle. L’avremmo presto liberata. Così come libera sarebbe stata la Val di Ceno e quella dell’Enza ad est. Poi anche quella d’Aveto… e l’Oltrepo Pavese e… poi Milano… e l’Italia intera avremmo liberato.
Bastava quel coraggio e la temerarietà che avevamo da vendere. Bastava la volontà di sentirsi uomini liberi e di ritornare ad esserlo… E un po’ di vento fresco come quello che mi alitava sul collo da nord est… a spazzar via quel rancore astioso che ci assaliva dentro. A spazzar via le nubi nere sulle nostre teste, nelle nostre coscienze. Del vento che si portasse via le milizie fasciste e quei fottuti ‘crucchi’.
Un po’ di Vento, come diceva la Gina.
Io sono Vento, Pier Emilio Castoldi, edizioni Vicolo del Pavone