L’inchiesta di Gedi Quotidiani dal titolo ‘Italia delle slot’ fa davvero rabbrividire. Ma non tanto e non solo per i dati sul gioco, più o meno già noti, bensì perché la possibilità di mettere a confronto il fenomeno della diffusione provinciale e comunale ha fatto emergere un quadro della realtà alessandrina che non ha quasi paragone in tutto il Piemonte. Alessandria è la città dove la spesa media per le giocate è stata di 1.553 euro pro capite nel 2016 (1.549 nel 2015) e di 1.097 euro in provincia. Nel capoluogo sono oltre mille gli apparecchi, pari a 11,6 per mille abitanti.
Le giocate complessive l’anno scorso sono state pari a 145,78 milioni di euro, una cifra che deve fare paura perché quantifica l’enorme flusso di denaro assorbito dal gioco delle slot in un territorio che ha un reddito medio pro capite di 20.900 euro. Alessandria è la città di fallimenti di marchi storici (ultimo il caso della Borsalino), del commercio al dettaglio agonizzante, è un centro apparentemente senza idee e progetti di sviluppo. E i soldi investiti del gioco delle slot sono l’altra faccia di un tessuto sociale in enorme affanno. Dove però delle risorse evidentemente girano ancora se il capoluogo è quasi al primo posto come spesa media. In testa c’è Verbania con 1.605 euro a testa. Poi Alessandria, quindi Asti con 1.429, Cuneo con 1.331, Vercelli con 1.180, Biella con 1.305, Novara con 998, Torino 886 euro.
Il dato statistico però non dice tutto. La spesa per il gioco infatti non è spalmata su tutta la popolazione, bensì riguarda solo una parte. Quella socialmente più debole e maggiormente a rischio. La Regione Piemonte ha introdotto, a novembre nuove regole, molto più rigide. Gli esercizi pubblici dove sono presenti le apparecchiature per il gioco devono “rispettare la distanza in base al percorso pedonale più breve dai cosiddetti ‘luoghi sensibili’, come scuole di ogni ordine e grado, centri di formazione per giovani e adulti, luoghi di culto, impianti sportivi, ospedali, strutture residenziali o semiresidenziali che operano in ambito sanitario o socio-sanitario, strutture ricettive per categorie protette, luoghi di aggregazione giovanile e oratori, istituti di credito e sportelli bancomat, esercizi di compravendita di oggetti preziosi e oro usati e stazioni ferroviarie”.
Basterà tutto questo? Probabilmente no. Il fenomeno del gioco si sposterà in altri luoghi, magari ancora più a rischio. Ormai la malattia è diffusa. E le terapie possono contenere, ma non risolvere del tutto una patologia rispetto alla quale non c’è mai stata una vigorosa prevenzione. Anche perché quella che viene invocata dovrebbe vedere in prima linea una azione decisa da parte dello Stato, peccato però che sia lo stesso Stato che sui giochi (tutti) punta per incassare fior di quattrini.