Oltre 10 anni fa una cara amica di Bologna, Antonella Beccaria, scrittrice e giornalista di rarissimo acume, mi mandò la seguente mail:
Caro Danilo, prima delle Cronache di Bassavilla, non mi ero soffermata sulla valenza delle autostrade: per me erano (e sono ancora) altri i luoghi che catalizzano qualcosa, come i boschi, che sono vivi e popolati anche quando non c’è nessun umano in vista.
Tornando alle autostrade, una notte di nebbia appena dopo un Natale di diversi anni fa, stavo percorrendo la Milano-Genova con destinazione il casello di Casei Gerola, Oltrepo pavese. Sarà stata l’una, grosso modo, ero da sola in macchina e non si vedeva nulla. A un certo punto ho guardato la sommità di uno dei primi cavalcavia dopo la barriera d’ingresso. Pensando che «se c’è qualche stronzo che lancia un sasso mentre passo, nemmeno vedo la sua sagoma». Il giorno dopo al telegiornale riportano la notizia della donna bresciana uccisa da un sasso sulla Piacenza-Torino dalle parti di Tortona, le tue parti, più o meno un’ora dopo aver guardato quel cavalcavia.
Rimbalzando di nuovo e finendo stavolta in un bosco dalle parti delle Dolomiti bellunesi (sono pavese per parte di papà e bellunese per mamma), un paio d’anni prima, più o meno a metà pomeriggio, me ne vado a fare un giro per una strada sterrata che si addentra nelle pinete. Stavolta non sono proprio da sola, con me c’è il mio cane, il grosso boxer molto placido ma piuttosto inquietante d’aspetto. Ogni tanto – com’è naturale che sia – sento rami che si spezzano, pietre che rotolano, fruscii forse determinati dal passaggio di qualche animale. Il cane è tranquillo e trotterella qualche metro più avanti. Dopo l’ennesimo rumore, osservo il bosco e penso che «per fortuna c’è Kaiser – il boxer, ma il nome non l’avevo dato io, ce l’aveva già quando l’ho preso -, altrimenti se balzasse fuori qualcuno, mi spaccasse la testa con un sasso e mi violentasse, potrei urlare finché voglio che non mi sentirebbe nessuno». Il giorno dopo il Gazzettino, cronaca di Belluno, riporta la notizia di un omicidio avvenuto esattamente come lo avevo immaginato io. L’assassino della donna non verrà mai trovato.
L’ultima che ti racconto risale a diversi anni dopo. Vado all’università e intanto lavoro alla Provincia Pavese, redazione di Voghera, in cronaca. Sono apprendista e due volte al giorno faccio il giro di nera. Quel giorno, più o meno alle 18, ho finito di chiamare 118, carabinieri, polizia, pompieri e il resto dell’allegra compagnia e comunico agli altri che non ci sono novità. Mentre i colleghi iniziano i soliti scongiuri volti a rimandare al mattino dopo la drammatica dipartita di qualche futuro ospite delle nostre pagine (altrimenti si sarebbe dovuta rifare almeno una pagina intera e magari anche la prima), a me viene da pensare: «Ok, a Carlo – mio fratello minore, possessore di una sprintosa moto con cui nei week end si faceva lunghi giri – non è successo nulla altrimenti lo avrei saputo poco fa». Venti minuti dopo mi telefona mia sorella: il fratellino è caduto, ci è mancato poco che finisse in una scarpata insieme alla moto, ma è riuscito a saltare via prima, appena prima di toccare terra. Se l’è cavata con qualche estesa ma leggera ustione da sfregamento, ma niente di grave. In trentatré anni, queste sono state le uniche volte in cui è capitato qualcosa di strano. Tanto che ho pensato di essere io a portare una certa dose di sfiga e che era il caso di smettere di immaginare o scongiurare disgrazie. Non ha molto senso raccontarti questi fatti, se non fartene una sorta di bislacco dono nel caso volessi usarli in qualche modo nelle tue Cronache.
Io le risposi così:
Come Antonella può constatare, non butto via proprio nulla. Ma il dono è tutt’altro che bislacco. Il suo approccio è quello dell’inconscio creatore nell’oceano pensante di Solaris, del dottor Morbius ne Il pianeta proibito e dei vecchi del Circolo del Venerdì, i miei personaggi di Un brivido sulla Schiena del Drago che si raccontano fiabe nere in una casa isolata sul Passo del Turchino e le fiabe prendono vita e consistenza materiale. In Asia, dalle parti del Tibet, li chiamerebbero Tulpa, fantasmi estroflessi dei viventi. Magari ottimi esempi di delirio letterario. Un libro di alcuni anni, Oggetti da smarrire di Gabriele Romagnoli, proponeva una serie di brevi racconti, flash fulminanti sulle autostrade di notte, motel e autogrill, vite che s’incrociano fra le tenebre con effetti stupefacenti sui soggetti narrati e la realtà che li circonda. Erano quelli anche gli anni di un film che s’intitolava The Hitcher dove un autostoppista serial killer materializzava le paure proiettate all’esterno di un incauto e giovane viaggiatore sulle highways americane. Insomma, due esempi soltanto, ma che potrebbero essere molti di più, per dichiarare che il mondo — quello degli artisti, medianicamente sospeso tra due dimensioni — ci stava riflettendo su quella twilight zone dove le idee e le paure diventano solide realtà, identificandola nell’archetipo dell’autostrada notturna (e al proposito, mai esempio potrebbe essere più calzante di quel genialissimo telefilm della serie Ai confini della realtà, I serpenti della notte, diretto da Friedkin e tratto da un racconto di Robert McCammon, dove dei viandanti notturni si fermano a un autogrill per ritrovarsi assediati da un manipolo di spettrali vietcong che li attaccano con bombe e mitragliatori sul suolo di casa propria, come se la guerra in Vietnam non fosse mai finita, ma diventata invece “un affare dell’Altro Mondo”…).
E oggi? Le risponderei ancora così? Più o meno. Anzi, no. Con molta più convinzione dichiarerei (dichiaro) che la Realtà è ancora un affare complicato e che il pensiero umano con le sue produzioni spesso inconsapevoli è in grado di forgiarla e modificarla. I mostri dell’Id esistono. Se non rientrano nella Casa Madre – la mente umana – vanno in giro e vagano facendo casini. Se avete apertura mentale lo potete constatare quasi quotidianamente sui giornali. A volte si riescono a percepire. Sono (anche) visioni sulla Coda dell’Occhio.
Nel frattempo i vecchi del Circolo del Venerdì – la notizia la dedico ai miei amici di ALIA che hanno pubblicato L’ultima veglia – sono tutti morti. E io ho scoperto che sulle Linee della Schiena del Drago le loro storie non sono affatto morte e continuano ad autoalimentarsi in un perpetuo ciclo narrativo che si aggancia alle vite di passaggio (soprattutto in autostrada, la A 26). Le storie sono i loro Mostri dell’ID. Le storie non muoiono mai.