di Dario B. Caruso.
Alcuni anni fa ebbi la fortuna di fare un’esperienza in Consiglio Comunale in un piccolo centro dell’entroterra ligure rinomato per i funghi e gli amaretti.
Ricordo di aver condotto una battaglia che arrivò ad un esposto alla Procura della Repubblica: le acque dell’acquedotto comunale erano infettate da Escherichia Coli (colibatteri fecali). Una parte della popolazione aveva denunciato problemi gastro-intestinali e disturbi dermatologici nelle zone intime. Differenti esperti mi convinsero a muovermi per cercare di evitare peggiori conseguenze anche se “ormai ci stiamo abituando a tutto!” così chiosarono gli stessi.
Non mi stupisco del fatto che gli annunciatori del giornale-radio abbiano una dizione impossibile e non conoscano la punteggiatura.
Non mi stupisco del fatto che un cieco guidi una macchina con perizia.
Non mi stupisco del fatto che le famiglie vadano a pranzare a polpette e torta al cioccolato in un punto vendita di mobili.
Mi stupisco del fatto che non mi stupisco.
Ah… dimenticavo: di quell’esposto non ebbi più notizie.
Non mi stupisco.
Da Wikipedia: “Nelle acque destinate al consumo umano, nelle acque di piscina, nelle acque adibite alla balneazione, ma anche in altri tipi di matrici (per es. alimenti, cosmetici) è prescritta l’assenza obbligatoria di Escherichia coli in relazione al suo ruolo di indicatore primario di contaminazione fecale. La mancata rispondenza al valore parametrico stabilito costituisce una non-conformità del prodotto (acqua, alimento, ecc.)”