Sul mito della misteriosa Carcosa troverete in rete un sacco di siti che vi elencheranno tutto quello che c’è da sapere sull’origine letteraria dell’oscura città perduta e la sua lunga ombra multimediale rilanciata in modo arguto e sottinteso nella prima stagione di True Detective, tra le cose migliori viste negli ultimi anni.
Non ho intenzione quindi di raccontarvi il risaputo quanto di tentare, in relazione all’antologia Il Giallo Sovrano edita di recente da Emanuele Delmiglio, una riflessione sul concetto di allusione inafferrabile legata alla paura dell’ignoto che sprigiona dal solo pronunciamento del funesto nome.
In verità il mito è un non-mito: Ambrose Bierce prima (1886) e Robert W. Chambers poi la citano (1895) ai propri fini narrativi, inoculando le loro storie di pochissimi ma succosi particolari che non la definiscono affatto ma la proiettano in una specie di dimensione forse aliena o infradimensionale. Ma soprattutto il solo menzionarla diventa fonte di terrore. Il gioco proseguirà con molti altri autori, Lovecraft compreso, perché la cripticità semina inquietudine e il mistero, solo in piccola parte risolto, non da oggi caratterizza in modo vincente la produzione, letteraria e cinematografica, dei generi popolari (modello straordinario e, a suo modo, “carcosiano” resta il bellissimo Picnic a Hanging Rock di Peter Weir).
Va da sé quindi che la presenza-assenza di Carcosa incarna un’angoscia metafisica che mostra il potere di oltrepassare i generi e stimolare congetture che si situano tra l’Unheimliche freudiano, ovvero il Perturbante, e quelle arcaiche pedagogie dove i bambini venivano apposta terrorizzati da Uomini Neri o altre analoghe figure punitive provenienti da un Nulla, appunto un Luogo Indefinito, un Non-Luogo.
A questo proposito, ci sembrano quanto mai preziose le considerazioni di Alfonso M. Di Nola:
«Paura e terrore sono le immagini che la nostra mente ottenebrata, attraversata da remote angosce, proietta in figurazioni mitiche fuori di noi. E in questo caso non basta appellarsi alla minuta mitologia dei diavoli, propria della tradizione cattolica… una eccezionale orgia di figure infernali, ciascuna esprimente le pulsioni segrete pullulanti nella persona.» Non basta affatto, perché, come Di Nola ha modo di precisare, «l’avvertimento di una realtà indeterminata, misteriosa ed extranaturale, ingenera sentimenti di paura e meraviglia», collegati al cosiddetto Mysterium Tremendum, mai riconducibile a comprensione razionale e tipico dell’approccio religioso.
Un sinistro sentimento dell’umanità primitiva che, secondo l’antropologo, si ripresenta ancora oggi come evocazione del Sé segreto e come tramite di una liberazione dalle stratificazioni fisiopsichiche innestate nel nostro stesso vivere. Mai come oggi Nomi di Potenza di cui poco veramente sappiamo – se non quello che ci racconta un sistema massmediatico a sua volta “misterioso” nelle sue connessioni – evocano paure e terrori di atavica cifra in grado di corrodere la levigata, “occidentale” superficie tecnologica del nostro quotidiano: a questo livello ISIS e Bilderberg Club diventano, nel loro diventare campo di scontro tra informazione e controinformazione, termini quasi interscambiabili, parole d’ordine che lanciano nell’Infosfera segnali, per dirla con Di Nola, di realtà indeterminate e misteriose.
Bene ha fatto quindi Nic Pizzolatto a irrorare True Detective di un’aura criptica coagulantesi attorno al misterioso nome inventato da Ambrose Bierce e a mantenere sino all’ultimo tale anticlimax. E non scioglie certamente il mistero lo scoprire che nella mente malata dell’assassino Carcosa corrisponde a una fortezza trasformata in un arboreo tempio satanico. Carcosa continuerà a essere qualcos’altro di inafferrabile, forse l’essenza del Male stesso dilagante in un mondo in cui si continuano a uccidere senza un vero perché donne e bambini. Anche se, come viene detto nell’ultima scena, la Luce è destinata a vincere l’Oscurità. Auspicabile.
Siccome sulla copertina dell’antologia di Delmiglio appare scritto “da un’idea di Danilo Arona”, sgombro il campo dai narcisismi e preciso che l’idea stava lì, a disposizione nei fatti, in quanto quintessenza di una suggestione che dura sin dai tempi di Bierce e Chambers. Chiunque poteva usufruirne e bene hanno fatto tutti gli autori nel modellarla a propria immagine, secondo il proprio vissuto. Si tratta di un lavoro e di un concept abbastanza unici per l’Italia mentre negli USA da tempo sono già usciti antologie come A Season in Carcosa, Shadows of Carcosa e Ripples from Carcosa.
Ma saremmo parziali e ingenerosi se non citassimo l’avvenuta uscita nel 2015 de Il marchio giallo di Carcosa, presente nella bella serie Dampyr edita da Bonelli. Soggetto e sceneggiatura del grande Mauro Boselli che entra da par suo nell’universo di Chambers, sulle note della Canzone di Cassilda e sulle parole di un misterioso copione teatrale che si chiama “Re in Giallo”…