Non si può parlare degli anni ‘50 e ‘60 di Alessandria ignorando il più usato mezzo pubblico di trasporto cittadino. Il filobus.
Chi, come me, racconta brandelli di storia della città ha perfettamente presente che in ogni epoca ciò che caratterizzava la vita della città è soprattutto le modernità. Così come esistevano strade nuove da fotografare, c’erano i nuovi mezzi di trasporto che intervenivano con prepotenza e diventavano soggetti principali di quelli che erano i biglietti da visita della città: le cartoline illustrate.
Innumerevoli sono, infatti, le cartoline che illustrano e raccontano le nuove strade del quartiere ex-pista, poi Pista, in particolare nel periodo 1910 – 1930, così come numerosissime sono quelle che, ancor prima, raccontavano le prime incursioni nelle vie cittadine del tram elettrico, a partire dal 1913.
Già dall’immediato dopoguerra Alessandria desiderava sostituire il servizio tramviario con tre linee filoviarie, che avrebbero dovuto collegare la Stazione ferroviaria ed il centro cittadino con la zona di via Marengo, con Spinetta Marengo, con Cabanette, gli Orti e il Sanatorio.
A partire dal 1949 fino al 1954 tutte le linee avrebbero dovuto essere completate ed operative.
Il 1° febbraio 1952 fu inaugurata la prima linea del nuovo servizio filoviario. La lunghezza era di circa 3 chilometri; nel giro di qualche anno furono completate tutte le linee filoviarie.
Come tutte le cose belle hanno una fine, così anche il filobus o “filibus” come tanti anziani dicevano, andò in pensione. Tra il 1972 e il 1974 le vetture filoviarie vennero sostituite con autobus a trazione diesel.
Trovo paradossale che – per ironia della sorte – non appena il filobus fu collocato a riposo il periodo della cosiddetta Austerità abbia avvolto col suo tetro mantello la nostra realtà. Vennero a mancare, per qualche tempo, gasolio e cherosene (come anche diversi generi alimentari, quali lo zucchero), e l’Italia intera era in grave crisi.
Ormai le linee aeree di alimentazione elettrica delle vetture filoviarie erano state quasi tutte smantellate e – stupidamente – Alessandria ebbe a fare i conti con questo brutto periodo.
La cartolina che oggi propongo appartiene ad un’epoca che non ho mai tenuto troppo in considerazione. Le cartoline appartenenti agli anni ‘50 e ’60 sono state compagne e oggetto delle mie prime ricerche. Fin da bambino, infatti, amici e parenti mi inondavano di tutte le cartoline che allora ricevevano in grandi quantità dall’Italia e dal mondo. La mia cantina e parecchi spazi del mio alloggio e di altre stanze di mia pertinenza ospitano quintali di questi soggetti a cui, fino a poco tempo fa, non avevo mai attribuito grande importanza.
Soltanto verso il 1983 ho iniziato a collezionare (seriamente) antiche cartoline di Alessandria, snobbando quelle della mia infanzia. Per fortuna però avevo continuato a conservarle con cura e – come si può vedere dal soggetto che offro oggi, anche se più recente – riescono a narrare la loro storia. Cartoline che nel 1983 avevano poco più di 30/40 anni oggi sono arrivate ad un’età da pensione e dimostrano tutto il loro valore storico e narrativo.
La vecchia via Umberto I delle cartoline dell’anteguerra è ormai diventata Via dei Martiri.
La denominazione è cambiata ed il famigerato progresso (con tutte le basse speculazioni che da sempre lo accompagnano) ha distrutto la vecchia strada, menomandola gravemente e modernizzandola nel più squallido dei modi. La decorosissima Via Umberto I, strada delle belle vetrine e del passeggio, è diventata così un riso e fagioli architettonico.
Durante i primi anni ’70 il palazzo della SATEA (Società Anonima Tessuti e Affini) che si può osservare il primo piano ha subìto la sorte di altre costruzioni della stessa via (e della città), lasciando il posto a squallidi palazzi senza arte né parte. La discreta edilizia ottocentesca ha dovuto cedere il passo alla più banale architettura moderna.
Basta fare i debiti confronti visivi e – se non si hanno gli occhi foderati di pelle di salame – appare chiarissima la differenza dei due momenti stilistici.
Godiamo quindi le fattezze della nostra bella città almeno con rimpianto, attraverso una semplice cartolina di Oneto, stampata dalla Ditta Fotocelere di Torino.