(seconda parte)
Italia Germania quattroatre.
Uno dei principali capitoli dell’epica dello sport italiano.
Un fenomeno culturale, vedi il film generazionale diretto nel 1990 da Andrea Barzini, con Massimo Ghini, Giuseppe Cederna, Fabrizio Bentivoglio e Nancy Brilli.
Raccontarla di nuovo oggi non avrebbe senso, anche se vale la pena ricordare alcune cose…
Segniamo quasi subito: Boninsegna, all’ottavo minuto. Poi è sano catenaccio, le due punte tedesche marcate arcignamente a uomo, Rosato su Gerd Müller e Bertini su Uwe Seeler.
In una rara divagazione a centrocampo Rosato, difensore feroce, abbatte Beckenbauer. Il fuoriclasse dovrà proseguire col braccio al collo, e ogni volta che incrocerà il signor Yamasaki gli dirà cose orribili, accusandolo di essere nostro amico. In effetti l’arbitro della semifinale è il pupillo del designatore De Leo, brasiliano il cui cognome tradisce le chiare origini italiane.
Quando la partita sembra vinta, nell’ennesima mischia dentro la nostra area segna in sforbiciata il biondo difensore Schnellinger, uno che in carriera probabilmente aveva superato il centrocampo non più di due tre volte.
Schnellinger è uno dei due tedeschi che gioca da noi, proprio nel Milan di Rivera. L’altro è Helmut Haller, un biondino piccolo e cattivissimo, che ha vinto il campionato col Bologna e poi è passato alla Juventus. Haller, si dice, sta fuori squadra perché si è menato con il vecchio Seeler, e anche Schnellinger è malvisto da Beckenbauer perché gli ruba il posto in mezzo alla difesa, costringendo Kaiser Franz a fare il mediano (lesa maestà!!!).
In Italia sono state chiuse le frontiere dopo la debacle con la Corea, e possono giocare solo gli stranieri che erano già qui nel 1966.
Leggere ora le notizie pubblicate in quei giorni sul calciomercato è interessante e divertente.
La Juventus acquista Fabio Capello, riscatta il cannoniere Bettega dal Varese e riprende Causio ceduto in prestito al Palermo. È l’inizio della ricostruzione che porterà ai grandi successi degli anni settanta. La squadra è affidata al giovane allenatore Armando Picchi (lui, poverino, se lo porterà via un tumore bastardo meno di un anno dopo).
L’Inter propone al Napoli lo scambio Corso-Montefusco: alla pari! Non si farà, Corso sarà il protagonista dello scudetto ‘70-’71, quello della “tabella di Napoli” e del sorpasso al Milan, Montefusco sarà ceduto la stessa estate al Foggia, per dire della differenza tra i due.
È certo che Bulgarelli lascerà il Bologna ma non è affatto deciso che vada al Milan, scrive La Stampa, mentre il giorno dopo la notizia è che il Milan prenderà Juliano dal Napoli in cambio di Sormani (in realtà l’oriundo andrà sotto il Vesuvio mentre “Totonno” non cambierà casacca). Si parla di due giocatori che finirebbero per pestarsi i piedi con Rivera, che in quella estate in realtà cambia compagno di reparto, dopo lo scambio con la Samp che porta in rossonero Romeo Benetti al posto di Lodetti.
Lodetti, soprannome milanesissimo Baslèta per il “mento impettito” (copyright Cesare Fiumi). Da diversi anni è i polmoni di Rivera, è lui a correre anche per l’abatino. Fa parte dei ventidue convocati per il Messico. Quando Pietruzzo Anastasi viene operato d’urgenza di appendicite, non si sa bene perché al suo posto ne convochiamo due, Bonimba e Pierino Prati. I ventidue diventano quindi ventitré e nel momento in cui si deve tornare al numero consentito il sacrificato è il buon Baslèta che non tornerà mai più, dopo quella estate per lui orribile, né al Milan né in azzurro.
I supplementari iniziano che in Italia sono quasi le due di notte, ma non dorme praticamente nessuno, e a tenerci svegli contribuisce “l’altalena delle emozioni”: l’autogol infelice di Poletti, il pareggio di Burgnich (per cui vale quanto detto prima per Schnellinger), poi finalmente “rombo-di-tuono” Riva: “sta per scadere il primo tempo supplementare ed è tre a due per l’Italia” ci dice Nando Martellini.
Si cambia campo, i tedeschi si avventano, sull’ennesimo angolo a coprire il palo lontano va Rivera.
“…tua, grida il portiere a Rivera – scrive Gianni Brera nel fondamentale ‘Storia critica del calcio italiano’ – l’old golden boy conferma la sua natura amletica scansandosi incomprensibilmente: potrebbe saltare e batter via da terzino, potrebbe opporre l’addome, se non addirittura la fronte: invece si toglie in disparte con una ridicola contorsione, come chi creda che gli convenga lasciar uscire la palla sul fondo: e però quella entra, boja mondo!, e siamo di nuovo alla pari (3 a 3) quando mancano 10’ alla fine. Viene portata la palla al centro mentre Albertosi, letteralmente uscito pazzo, si avventa a Rivera e lo insulta con selvaggio furore. Boninsegna tocca a De Sisti, Domenghini si offre per il disimpegno e lancia verso l’out sinistro: allora Boninsegna, che è sulla palla, si avventa a morire verso il fondo. Intanto Riva si piazza al centro e Rivera segue mortificato a distanza. Boninsegna insiste nella sua fuga, talché gli muore alle calcagna l’asfittico Schultz: aspettano tutti il traversone alto: Boninsegna effettua invece un passaggio basso a ritroso: su quel diagonale rovesciato si trova olimpicamente Rivera: Maier è spiazzato a destra, come consigliava la provenienza del cross: Rivera adegua la falcata all’impatto e con il piatto destro infila da poco oltre il limite!”
E poi viene la frase geniale, quella che distacca Gioannbrerafucarlo da tutti gli altri scrittori del futból: “Questo è dunque avvenuto: al giovane eroe ha ridato la lancia Pallade Atena figlia di Giove Ottimo Massimo. Le troiane porte Scee e la porta di Maier si confondono nel cervello stranito di tutti.”
La gente scende in strada, a notte fonda, a festeggiare con grandi caroselli automobilistici: ad Alessandria si aggiunge alla gioia per la vittoria il tripudio per l’eroismo dell’enfant-du-pays.
Italia Germania quattroatre ci manda in finale contro il Brasile, quello dell’ultimo Pelé fuoriclasse decisivo, dei cinque numeri dieci in attacco, il Brasile in cui secondo l’immaginifico (a volte pure troppo) e mai abbastanza rimpianto Franco Rossi, “c’erano tre coppie gay e circolava droga”.
Chi vince porta a casa definitivamente la Coppa Rimet, assegnata ai primi tri-campioni. Come noto, il trofeo sta dal 1970 nella terra del samba, dopo la disfatta per 4-1 in una partita discussa soprattutto perché Valcareggi abbandona la staffetta e Rivera entra solo a partita chiusa ad appena sei minuti dalla fine.
Gli anni settanta di Rivera, poi, associano la lunga fine di una splendida carriera con l’inizio di una vita fuori dal campo spesso discussa e discutibile, i cui primi sintomi sono l’amicizia con il bizzarro padre Eligio, e la volontà di prendersi il Milan insieme a personaggi spesso non proprio irreprensibili, a cominciare dal petroliere Ambrosio che frequenterà più San Vittore di Milanello.
Ho l’impressione che il Rivera fuori dal campo abbia parecchio nuociuto anche alla memoria del Rivera calciatore, centrocampista di classe cristallina come non ne sono più nati, in Italia (e se ripenso a tutti quelli, anche stranieri, visti da noi negli ultimi cinquant’anni, forse l’unico che può stare al suo livello è Platini). Mentre Gianni Rivera calciatore è uno di cui si dovrebbe oggi scrivere nelle stesse pagine di Best e di Cruijff, per nominare gli unici suoi contemporanei di altrettanta classe.
(Invece, la storia dei grandi eventi sportivi in Messico ha scritto ancora un altro memorabile capitolo: prossimamente ‘La mano de Dios e i minuti col maestro’)