Questa settimana Albook ospita gli estratti di due diversi romanzi di Edoardo Montolli, giornalista e firma storica del settimanale Cronaca Vera. E’ anche autore di diversi libri d’inchiesta molto discussi (tra cui Il grande abbaglio e L’enigma di Erba, dedicati al caso degli omicidi di Erba, e Il caso Genchi tuttora al centro delle cronache, per i tanti retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent’anni), oltre che curatore del sito Frontedelblog e editore Algama.
I due brani sono estratti da Il Boia e La ferocia del coniglio, entrambi parte di una trilogia di thriller ambientati a Rho (che comprende anche L’illusionista).
Ne Il Boia, si si racconta di un’estate torrida che soffoca Milano. Nella sua tenuta all’interno del Parco delle Groane il corpo di Monsignor Alceste Contini, illustre personalità ecclesiastica della città di Rho, viene assassinato e sfigurato. Per risolvere il caso, la questura affianca all’irascibile commissario De Nigris lo psichiatra esperto di serial killer Lucio Settembrini. Quando i morti aumentano e il misterioso assassino scrive una lettera alla polizia, i sospetti convergono su Manuel Montero, giornalista alcolizzato reso celebre da Tribù di Notte, un trattato sulle perversioni sessuali cui la lettera allude. Giocatore d’azzardo, ossessionato dal suicidio dell’ex fidanzata, certo che qualcuno voglia incastrarlo, Montero decide di far luce da solo sul delitto. Ma presto gli omicidi si moltiplicano, raggiungendo i vertici della ferocia. Chi è veramente Manuel Montero? E chi è veramente il Boia, così come la stampa ha ribattezzato il killer che ama Beethoven? In un vortice di sospetti, dove nessuno è davvero innocente, emerge una verità che affonda in un passato lontano. A ennesima dimostrazione che dove Dio ha costruito una chiesa, il Diavolo ha edificato una cappella…
L’INNOCENZA
Giugno 1986
Il ragazzino guardava la luna fuori dalla finestra, tirandosi il lenzuolo fin sopra al naso, battendo i denti. Non voleva più avere paura. E per non tremare doveva assolutamente distrarsi. Lo faceva andando nel bagno, perché lì non c’erano finestre e poteva, con la porta chiusa, lasciare accesa la luce. Stava accucciato lì dentro a leggere tutta la notte, per farsi venire sonno, da tanto tempo ormai. Aveva già scoperto Stevenson, Dickens, Verne, Salgari: quei classici che gli sembravano così noiosi. Desiderava tanto sfogliare qualche testo serio, importante, che raccontasse la verità sul mondo, sui tanti perché che un bambino si pone in continuazione. Ma in biblioteca c’erano solo i romanzi. I romanzi e la Bibbia. Quando ne disponeva, gli piaceva immergersi nell’Apocalisse e sognare la valle di Giosafat. Si chiedeva se sarebbe resuscitato anche lui, come Lazzaro. Le Sacre Scritture, sì, le Sacre Scritture lo appassionavano. E gli dilaniavano la mente. Si stupiva, ad esempio, per le tentazioni di Cristo; non capiva come mai rifiutasse tutte quelle bellissime cose che Satana gli offriva su un piatto d’argento. Fantasticava sui personaggi dell’Antico Testamento.
Ma ciò che lo intrigava di più era il gesto dignitoso di Giuda: pagare con la morte il proprio tradimento. Impiccarsi. Del resto, come si poteva rimediare a un errore tanto grave se non facendola finita? Avrebbero dovuto comportarsi tutti così, quelli che commettevano errori. Togliere il disturbo togliendosi la vita.
Ma immaginò che la storia di Giuda fosse unicamente una favola raccontata ai bambini cattivi. Perché, nella realtà, chi commetteva errori non se ne accorgeva mai. E invece di uccidersi, continuava a farli.
A fare del male.
Quella notte, in cameretta, gli mancava la Bibbia. In bagno aveva già letto più di cento pagine di Moby Dick. Ma la luna era alta in cielo e lui non riusciva ad addormentarsi per l’angoscia che lo soffocava. Scese timidamente dal letto e raccolse dal cestino il suo gattino, per coccolarlo sotto le lenzuola. Si accorse che anche lui tremava, che anche la bestiola aveva paura. L’accarezzò a lungo, poi la strinse a sé. Sempre più forte. Finché non le spezzò il collo.
Ne La ferocia del coniglio (già battezzato come il thriller sugli snuff movies) vediamo il ritorno del commissario De Nigris impegnato nelle indagini sulla scomparsa di un bambino e di una donna. Alfredo Carruba è svanito mentre si stava recando a scuola; Stefania, ex moglie di De Nigris, non dà più notizie di sé da diversi giorni. In cerca di aiuto, il commissario si rivolge al detective Montero, profondo conoscitore della malavita della città. Sembrano due casi di semplice risoluzione. Invece è l’inizio di una calata all’inferno, in un mondo putrido, nascosto ai piani alti della società: pedofilia, stregoneria e un giro perverso di snuff movies, i leggendari film degli omicidi in diretta. Sette giorni da incubo dove nulla è come appare, dove un passato lontano semina morte senza apparenti motivi. Perché, per dirla col peggiore dei protagonisti, esiste un «male per il male. Non c’è nessun motivo trascendente perchè la gente lo voglia o lo chieda. È il male il loro stesso premio». Uscito per la prima volta nel 2007, scritto dall’autore de Il Boia, arriva in ebook uno dei thriller più neri mai scritti in Italia. In cui nessuno è innocente.
IL REGISTA
Ciphre prese un volume impolverato, poi lo rimise a posto, si pulì la mano sui calzoni, e, quasi con aria di sfida, aprì un mobile intarsiato a mano dentro al quale c’erano una tv e un lettore dvd. Prese il telecomando e accese entrambe le attrezzature, sprofondando in poltrona. Il film partì.
Apparve un bosco. Si sentiva il rumore del fiume e il cinguettio degli uccelli. Dopo la panoramica iniziale, la telecamera inquadrò una gallina e un grosso coltello: la lama le tagliò la gola facendone sprizzare il sangue. L’inquadratura scese su un uomo in costume di pelle e maschera bianca che si faceva colare il sangue addosso. A destra ne apparve un secondo, anche lui in costume e maschera bianca. E una donna nuda, giovane ma flaccida, sdraiata per terra e legata mani e piedi a chiodi da campeggio fissati per terra. Braccia e gambe larghe. Lo schermo divenne grigio, come quando si perde la frequenza. Poi tornò a fuoco: il secondo uomo adagiava sul corpo della donna un ragno peloso che mi parve una tarantola. E poco dopo la donna iniziò a divincolarsi urlando, probabilmente morsa dall’aracnide. La telecamera indugiò sugli occhi, che parevano chiedere aiuto. Ancora schermo grigio. Mezzo secondo. E nuova immagine: il primo uomo reggeva ora tra le mani un arbusto di mezzo metro. Si avvicinò alla donna. E lo usò come un gigantesco fallo. Le grida della ragazza erano disperate. Quando l’altro entrò in scena con un grosso topo tra le braccia e lo appoggiò sulle caviglie della donna, Ciphre mandò avanti il lettore alla seconda scena.
Sullo schermo c’era ora una donna nuda legata ad una croce messa ad X, mentre un uomo mascherato e armato di coltello le infliggeva dei piccoli tagli sul capezzolo. Il sangue zampillava e la donna, una biondona bruttina e chiatta, mugugnava non si sa se per il piacere o per il dolore. Strabuzzai gli occhi e capii che non poteva parlare perchè una pallina grossa quasi come una da tennis le teneva aperta la bocca, bloccata da un laccio in cuoio. Così, più la giovane si sforzava, più dei sottili rigagnoli di bava le scendevano dalle labbra, senza che l’aguzzino si fermasse. L’obbiettivo indugiò sugli occhi: era la donna della prima scena. Per tre, quattro minuti, rimasi incollato a vedere il torturatore spegnerle sigarette sulle braccia, arroventarle la pelle con ferri caldi, inciderle le cosce con la lama di un taglierino. Quindi, preso un filo elettrico tra le mani, lo vidi appoggiare sul petto della donna, che inizò a contorcersi e a strabuzzare gli occhi. Il tizio si spostò e andò ad aumentare l’intensità della scossa alla macchina da cui il filo elettrico fuoriusciva. Poi le sfilò la pallina dalla bocca. La vittima urlava e si agitava sulla croce, preda delle convulsioni, fino a quando svenne rivoltando gli occhi e perdendo schiuma dalle labbra.
Ciphre, che annoiato si teneva la testa appoggiata su un braccio, andò sul “menu disc” e cliccò sull’ultima scena del dvd, in cui vittima e carnefici salutavano le telecamere al termine dei due atti. Sani, salvi e felici.
Spense. E mi fissò torvo, con due occhi azzurri che parevano di cristallo. «Lei conosce Pietro Pomponazzi?»
Tacqui.
«Era un filosofo della fine del 1400. Si pose il problema della coscienza ben prima di Kant. Il suo motto era virtù per la virtù. Diceva che non dobbiamo aspettarci premi per la nostra virtù, perchè la virtù è già il suo premio».
Lo guardai come si potrebbe guardare un extraterrestre.
«Quello che ha appena visto è invece il male per il male. Non c’è nessun motivo trascendente perchè la gente lo voglia o lo chieda. È il male il loro stesso premio. Lo cercano, lo desiderano, lo fanno. Senza altri fini».
Rimasi a bocca aperta.
«E allora la gente viene qui – proseguì – e mi domanda quello che vuole che sia loro fatto con strumenti di tortura e fruste. Io filmo e loro pagano. E mi creda, c’è gente, privati dico, che sborsa qualsiasi cifra pur di rivedersi a casa mentre rivive il ricordo del dolore…ecco che si spiega la mia fortuna. E come ha avuto modo di vedere, alla fine è solo un lurido gioco. Molto meglio la musica sinfonica».
Fu allora che capii che quell’uomo era completamente pazzo.
Entrambi i romanzi (dopo le edizioni originali pubblicate da Mondadori e Aliberti) oggi sono stati ripubblicati in versione digitale nella collana di ebook delle edizioni Algama.