Il ‘colpo d’occhio’ dalle vigne è straordinario, un panorama mozzafiato su tutta la valle. “Siamo arrivati qui nel 2000 – sorride Erika – quando Giuseppe si era appena laureato, ed io ero ancora studentessa. Eravamo convinti che si potesse fare un’agricoltura senza chimica, e vini senza solfiti. Un ritorno alle radici insomma, ma con in più le conoscenze oggi disponibili. Mi pare che ci stiamo riuscendo”. Siamo a Montaldo Bormida, nel Monferrato ovadese. Cà del Bric è la tenuta che Giuseppe Ravera e sua moglie Erika hanno costruito (“a partire dalle vigne in cui il mio bisnonno era mezzadro, acquistate da mio padre nel 1991, e da noi ampliate”), che si distingue per la scelta di realizzare vini rigorosamente ‘biologici’. Già insignita del Premio Marengo Doc negli anni scorsi, Cà del Bric nel 2017 si è aggiudicata la targa Doc Bio con il Dolcetto d’Ovada Mayno zero, annata 2015.
Dottor Ravera, come nasce il progetto Cà del Bric?
Volevamo fare i contadini, dopo la laurea. Una scelta per niente stravagante, ma frutto dell’intenso amore che mia moglie Erika ed io proviamo per la natura, per la terra e i suoi frutti. Siamo partiti dalle vigne della mia famiglia, e via via le abbiamo migliorate, e ampliate. Oggi siamo a circa 6 ettari ‘vitati’, e soprattutto certificati: solo uve e vini biologici.
Perché è così importante, per voi? E cosa significa biologico?
Abbiamo due bambini piccoli, che crescono tra le vigne: ci giocano, è il loro mondo: e vogliamo che possano farlo in piena libertà, senza il rischio di respirare prodotti chimici malsani. Lo stesso vale per chi beve il nostro vino: sa che si tratta di prodotti naturali, di altissima qualità e senza ‘ritocchi’ di alcun tipo. Abbiamo eliminato completamente la chimica dai vigneti, e dalle bottiglie: zero diserbanti, zero fitofarmaci, solo concimazione naturale, zero fertilizzanti, zero solfiti. Il che consente di recuperare completamente le qualità dei diversi vitigni, nella loro essenza naturale: il gusto asciutto del Dolcetto, la vivace acidità della Barbera, il ricco bouquet dello Chardonnay.
Il vino vincitore del Premio Marengo Doc Bio 2017 è un Dolcetto d’Ovada Mayno zero 2015: che storia ha?
Ci piace, attraverso il vino, raccontare storie che caratterizzano la nostra terra. Mayno della Spinetta è figura leggendaria, un brigante alessandrino dell’epoca napoleonica, ma anche il simbolo della forza e della dignità delle radici popolari. Per questo gli abbiamo dedicato il nostro Dolcetto d’Ovada Mayno zero del 2015: un vino vero, forte, senza compromessi come il bandito di Spinetta. Ossia senza solfiti aggiunti, capace di farsi apprezzare per com’è: emblema di un territorio che sta rivalutando se stesso.
La sua azienda ha un fiore all’occhiello straordinario: la Grotta del Vino. Che cos’è?
Non proprio un infernot, ma una cantina ipogea, scavata a mano nel tufo, sotto la collina. Si trova a meno di un chilometro dalla nostra cantina, qui dietro, nelle nostre vigne. Ci portiamo i clienti, ma anche semplici visitatori che ci chiedono di visitarla, e ne rimangono incantati: i nostri nonni vinificano direttamente in vigna, in strutture come questa, che sono una meraviglia di ingegneria. La grotta è stata utilizzata fino agli anni Sessanta.
Lei è consigliere del Consorzio di Tutela dell’Ovada docg, di cui è stato anche vice presidente: che cosa fate concretamente?
Siamo un gruppo di produttori seri e motivati, cerchiamo di fare squadra, e di mettere a punto iniziative comuni sia sul fronte del marketing e della promozione. Partendo dalla bellezza di questo affascinante territorio miriamo alla tutela e alla valorizzazione del nostro marchio, e della qualità che rappresenta. E’ complicato, ma i risultati cominciano ad arrivare.
Web e social oggi che ruolo hanno sul fronte promozione e vendita?
Sono importantissimi, e in questo mia moglie Erika è davvero più brava e motivata di me: io sono spesso al telefono, ma i social li gestisce lei, e con risultati notevoli e crescenti. Sono un canale che ha una tale rapidità e immediatezza da lasciarmi spesso stupefatto.
Qui in cantina a Montaldo, al primo piano, ospitate anche Mario Grimaldi, maestro liutaio: come mai?
E’ un amico, prima di tutto. Ma c’è anche un’assoluta coerenza di progetto: Grimaldi, come noi, ha un fortissimo legame con il territorio, e con la cultura che esprime e rappresenta: lui è artigiano della musica, noi del vino. E ha, ci fa piacere segnalarlo, clienti di assoluto livello che vengono qui appositamente, e mentre si fanno realizzare o riparare gli strumenti apprezzano anche i nostri vini. Dal regista Marco Tullio Giordana a Eros Ramazzotti, tanto per citare qualche nome noto.