Da diversi giorni, troppi, il dibattito politico si è incancrenito su un argomento, il cosiddetto “ius soli”, che certamente non rappresenta il problema vitale per questo Paese in quanto basta guardarsi in giro per accorgersi che gli italiani sono alle prese con altre problematiche molto più importanti e contingenti.
Nonostante tutto ciò lo ius soli ha fatto da catalizzatore dell’azione politica del PD,creando non pochi malumori al proprio interno, e determinando improvvise ed improvvide prese di posizione da parte di partiti politici, vedi le ultime esternazioni pre elettorali di Alfano, che alla Camera ha votato lo ius soli salvo rimandarlo in soffitta qualche giorno fa.
In risposta a questa fregola che pervade il Partito Democratico, credo sia comunque corretto esporre alcune considerazioni sull’argomento.
La novità principale consiste nell’attribuzione della cittadinanza italiana per nascita a chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri (ius soli), di cui almeno uno sia residente legalmente in Italia, senza interruzioni, da almeno cinque anni, antecedenti alla nascita del figlio, ovvero di cui almeno uno sia nato in Italia e ivi risieda legalmente, senza interruzioni, da almeno un anno, antecedente alla nascita del figlio.
Quando si affronta il tema del diritto alla cittadinanza non si può ragionare sotto la spinta di argomentazioni suggestive ma non razionali come ad esempio l’utilizzo strumentale di argomentazioni finalizzate a facilitare e incrementare l’acquisizione della cittadinanza, quale strumento essenziale di una effettiva integrazione nella
società, anche attraverso l’utilizzo di patinate immagini di bambini nati e cresciuti in Italia e privati di questo diritto.S i sostiene da più parti che i bambini che crescono in Italia, che frequentano la scuola, si sentono diversi perché non sono cittadini. Non partecipano alla vita sociale, non usufruiscono di tutti i servizi?
Tra l’altro un bambino può essere consapevole di cosa significhi essere cittadino?
Su questo punto si deve evitare la facile demagogia.Vi sono bambini che vivono
regolarmente in questo Paese ma magari si sentono filippini, arabi o turchi e vogliono tornare a casa loro. Occorre fare attenzione a quello che è accaduto negli altri Paesi europei, proprio con le nuove generazioni.
Il tema è quanto integrazione e cittadinanza siano differenti. E’ necessario un percorso in cui un ragazzo, con pari diritti, quando ha la capacità politica, quindi quando può partecipare attivamente alla vita politica e civile di questo Paese, cioè al compimento della maggiore età, che comporta per la legge italiana la capacità di intendere e di volere, se vuole decide di essere cittadino italiano. Lo diventa, quindi, per volontà e per scelta.
La cittadinanza non rappresenta un mezzo per una migliore integrazione come viene oggi sbandierato dal PD e dalle sinistre in genere, ma la conclusione di un percorso di integrazione già avvenuta.
La cittadinanza rappresenta l’attribuzione di uno status che non tutti gli stranieri vogliono ottenere. Essendo, poi, tutti i diritti sociali ed economici garantiti sia ai cittadini italiani sia agli stranieri residenti nel nostro Paese ed essendo solo i diritti politici esclusivamente appartenenti a chi ha la cittadinanza italiana, ciò non incide su chi non ha raggiunto ancora la maggiore età.
È importante sottolineare che storicamente tutti i Paesi europei hanno adottato lo ius sanguinis mentre lo ius soli costituisce una caratteristica propria di quei paesi, come gli Stati Uniti d’America, che hanno avuto la esigenza di attrarre immigrazione per popolare un vasto territorio e coprire enormi esigenze di forza lavoro.
Nella scelta tra i due criteri occorre quindi superare le questioni di puro diritto e ragionare sull’opportunità storica e strategica di applicare un principio piuttosto che un altro ad un determinato territorio in risposta alle esigenze specifiche del territorio
stesso.
Sul tema della cittadinanza sarebbe opportuno introdurre un percorso virtuoso per l’integrazione degli stranieri e apolidi presenti regolarmente nel nostro Paese introducendo anche l’obbligatorietà di un test di naturalizzazione propedeutico alla acquisto della cittadinanza.
Un percorso quindi di reale integrazione e assimilazione nella società italiana e nelle sue varie e fondamentali realtà locali, in modo da vivere attivamente nel nostro Paese, evitando ghettizzazioni che possono portare a disagi e, in alcuni casi, a fenomeni di devianza.
La cittadinanza implica una serie di doveri che debbono essere precisati. Quindi, pare ovvio che si debbano pagare le tasse e rispettare gli obblighi fiscali. Appare ovvio che chi vuole diventare cittadino conosca la nostra lingua. Meno ovvio, ma assolutamente irrinunciabile, è la convinzione che le pari opportunità non siano solo belle parole, ma principi che vanno applicati, così come la pari dignità tra uomo e donna: esistono la poligamia e l’infibulazione.
Non possiamo accettare che la cittadinanza non sia che la fine di un percorso diretto
anche ad «educare», tra virgolette, alla pari dignità, ad affermare che nel nostro Paese ci sono leggi diverse da quelle del Paese di provenienza, leggi che devono essere rispettate.
Non si può pensare che la cittadinanza sia una mera formalità. Siamo inoltre del parere che il processo della vera integrazione finalizzato all’acquisizione
della cittadinanza vera, una cittadinanza realmente fondata sulla condivisione dei
valori culturali del popolo al quale si vuole appartenere, passi inevitabilmente dalla frequentazione di un corso annuale funzionale alla verifica del percorso di
cittadinanza, finalizzato all’approfondimento della storia della cultura italiana ed europea, dell’educazione civica e dei principi della nostra Costituzione e soprattutto
dalla sottoscrizione di una Carta dei Valori nella quale si dichiara di riconoscere il principio fondamentale della separazione inequivocabile tra la sfera laica e quella religiosa, lo status giuridico o religioso delle donne, il rispetto del diritto di famiglia e dell’istituto del matrimonio, dei minori e dei non credenti.
In materia di cittadinanza la realtà è, che ci vuole tempo, ci vuole la volontà di
integrarsi e la convinzione che si lascia qualcosa di sé per acquisire qualcosa di
nuovo.
* Lega Nord