Siccome Land’s End è in lizza per diventare un prodotto per immagini (al momento non è possibile sbottonarsi), vi ripropongo quest’intervista a due voci dello scorso anno che il grande Giovanni Melappioni fece agli autori del romanzo di Cornovaglia. È un documento che vale la pena recuperare, soprattutto per alcuni elementi di preveggenza, e nel frattempo Sabina l’ho incontrata e tutta Italia l’ha vista la sera del 26 settembre nel programma di Amadeus I soliti ignoti.
Ciao Danilo, ciao Sabina, benvenuti su Laputa, reggetevi forte finché non raggiungiamo il municipio. Volare con l’ausilio della sola forza magnetica non è come sedersi dentro un comodo superjet della Lufthansa, ci saranno scossoni e qualche turbolenza. Intanto vorrei domandarvi come vi siete conosciuti, giusto per rompere il ghiaccio.
D. Non ci siamo mai conosciuti fisicamente. Può anche darsi che Sabina non esista e sia un parto del mio Id o della mia ghiandola pineale. Secome mi auguro esiste su questo piano di realtà, ci conosceremo ad Halloween, che per inciso è anche il giorno del genetliaco della Guidotti. Anzi, la notte. Sabina Guidotti non poteva che nascere a quell’ora e in quella data. La nostra è una conoscenza âsi fa per dire via rete. Siamo reciproci fantasmi.
S. Potrebbe sembrare una trovata pubblicitaria per far parlare di noi e del libro, invece è la pura verità. Io e Danilo non ci siamo mai incontrati, nemmeno virtualmente su Skype. E anche su questo si potrebbe scrivere una storia. All’inizio Danilo era solo una voce. Poi quella voce ha fatto parte di un sogno, e quel sogno si è trasformato negli incubi di Cassandra e nelle visioni di Dafne. Ma sono certa di aver incontrato uno dei tanti Danilo in un mondo parallelo.
Bene, attenzione adesso. Reggetevi! Siamo sopra un’intersezione elettromagnetica. Quando scoprimmo le due lune di Marte prima di tutti gli astronomi terricoli, fu necessario approntare uno stabilizzatore peril telescopio. Ricordo che ne parlammo per circa una decina di anni,prima di addivenire alla soluzione. Parlammo di altro, chiaramente. A noi laputiani piace divagare, non seguire alcuno Schema. Invece tu, Danilo, immagini che vi sia uno Schema al quale non si può sfuggire. Cene vuoi illustrare i dettagli, e per amore dei laputiani, non lesinare quelli che ritieni di secondaria importanza, qui da noi valgono oro!
D. Lo Schema è la Sottotraccia non a caso maiuscola di tutta la mia ultima narrativa a partire da L’estate di Montebuio. Volendo rifarsi a una contabilità di tipo aziendale, è il nudo elenco dei segni che preludono alla fine dei giorni. Lo so che puzza molto di gruppi fondamentalisti escatologici – in rete se ne trovano a bizzeffe -, ma i materiali da usare in chiave fictional li trovo assolutamente efficaci e divertenti. E ad alcuni confesso di credere. Per esempio, a coloro cheho battezzato i Renfield, quegli individui che ormai quasi ogni giorno danno di matto e compiono atti, spesso omicidiari e senza spiegazione perché dal loro punto di vista annuncianoâ che Qualcosa di Sinistro sta per Accadere (citando Bradbury). Non sono cose che m’invento, stanno in cronaca, basta saperle scoprirle e rileggerle in un’altra chiave. Se vuoi approfondire il discorso anche dal punto di vista saggistico, le mie rubriche in rete La Luce Oscura e Il Superstite negli ultimi anni si sono spesso dedicate allo Schema, che tra l’altro è un’entità dinamica, in mutazione. Ad esempio, l’ISIS ormai ne fa parte. Poi la terzultima voce dello Schema è terrore globale. Vedi tu. Consiglierei un saggio fondamentale di Paul Virilio accanto a Land’s End, giusto per capirne di più di Schemi e interpretazione della realtà. S’intitola Città panico.
Sabina, e tu ci credi nello Schema? O ti sei lasciata irretire per poi riuscire a sfuggirne?
S. Uno Schema esiste. Questo non è un libro di pura finzione. Lo scenario del mondo è ben peggiore di quello che abbiamo raccontato. L’Apocalisse, soprattutto climatica, è già sotto gli occhi di tutti, ma l’omologazione, il desiderio di immortalità, la perdita di valori morali, ha generato una cecità preventiva, come se fosse calato un sipario. Viviamo in una libertà apparente, una specie di limbo, dove la realtà spesso si confonde con l’immaginario. Chi scrive di horror, probabilmente per esorcizzare paure inconsce, lo sa. E lo sa perché fa rivivere i mostri, scava nel profondo delle coscienze, andando in quelle zone di confine spesso pericolose. Posso dirti anche che, mentre scrivevamo questo romanzo, sono accadute delle cose strane, intoppi, black out, incidenti, come se Qualcuno o Qualcosa non volesse che il libro vedesse la luce. Potremmo parlare di presenze, di fantasmi, di connettività con altri mondi, mondi nei quali questa storia era appena iniziata o aveva avuto un triste epilogo. Poi, una volta terminato, abbiamo avvertito entrambi un senso di pace. Avevamo rivelato lo Schema, o quello che noi abbiamo decodificato come Schema.
Eccoci arrivati al municipio, prego, accomodatevi. Il nostro popolo mi ha affidato una domanda: siete mai stati a visitare il vecchio faro di Land’s End? Ve lo chiedo perché a noi sono saltate tutte le antenne ricettive quando abbiamo saputo della pubblicazione dell’omonimo romanzo e, vi assicuro, ognuno di noi ne ha già tre copie. Una da leggere, una da portare in piazza per argomentare sui dettagli, e un’altra da conservare per il futuro.
D. Mai stato a Land’s End. Ma dopo quest’esperienza produttiva mi piacerebbe proprio. Per capire se le mie visioni e quelle di Sabina corrispondano al vero. In ogni caso la Cornovaglia sta nei miei programmi turistici.
S. Vorrei andarci presto, magari proprio con Danilo! Vedere quella scogliera, la scogliera di Dafne e Angus, dove noi abbiamo stabilito il confine. Poi dormirei nel faro, non nel famigerato albergo onde evitare incontri spiacevoli.
Il mondo sta per finire, questo è evidente. Noi pensiamo che sarà un eterno crepuscolo senza alcuna esplosione immanente. Voi come la immaginate la fine del nostro mondo?
D. Guarda che l’abbiamo appena scritto. La immagino proprio così. Una casa sulla scogliera più alta, la propria donna al fianco, un bicchiere di buon vino da centellinare e gli occhi puntati verso il mare a guardare senza paura la fine che si avvicina. Si tratta di una visione che appartiene a tanto cinema, da L’ultima spiaggia a These Final Hours. Però è proprio così che vedo la Fine.
S. La vedo come Danilo. Se la fine è inevitabile, puoi solo addolcire l’attesa. L’aspetterei su un luogo isolato, in alto, a strapiombo sul mare. Vorrei accanto le persone care, i miei animali e un amuleto in tasca. Non si sa mai.
Sciamani, evocatori, custodi delle chiavi dell’Oltre (qualunque esso sia). Danilo, ti senti un po’ sciamano nel creare le tue storie, o vittima di uno di essi, magari nascosto in quella piega grigia fra la coscienza e la follia che noi, qui, chiamiamo genialità?
D Faccio parte, mi piaccia o meno, di quella razza di scrittori che quando producono si “connettono” con qualche zona al di là del tempo, e forse anche dello spazio, e scrivono quasi in trance automatica. Ne conosco qualcun altro in Italia: lo affermo senza tema di smentita. Perciò scrivo un romanzo quando la storia “arriva” o quando mi connetto senza quasi accorgermene. Poi, okay, ci sono un sacco di altri miei racconti che sono soltanto frutto di mestiere e di esperienza. Ma che non fanno parte del repertorio “connesso”. O connettivista, come direbbero Sandro Battisti e Kremo Baroncini.
Sabina, questa è tutta per te: una trasposizione cinematografica di Land’s End chi vedrebbe protagonisti? E con quale tecnica filmeresti le scene? Ma soprattutto, proiettereste la prima al cinematografo di Laputa?
S. Certo che lo proietterei al cinematografo di Laputa, e mi interesserebbero le reazioni. Se dovessi realizzare una trasposizione cinematografica, lavorerei sui colori, sul bianco abbacinante della scogliera che fa da catarifrangente per altri mondi reali, come quello milanese dove vivono Morgan e Cassandra. Lavorerei sugli occhi. Un primissimo piano sugli occhi di un gabbiano che si trasformano in quelli di Dafne per scorgere dentro le sue pupille un bambino che grida. Darei importanza anche alle musiche, da quelle rockettare che sottolineano la presenza dello scrittore maledetto ai silenzi di Land’s End, dove un tike tike tike può fare davvero paura. Sai meglio di me che l’anima di un film dipende anche dal montaggio. Se fossi io a decidere, monterei la storia utilizzando un frame ricorrente collegato a un solo personaggio: Morgan. Il punto di vista sarebbe quello di un terzo occhio, la sua ghiandola pineale impazzita, che sta facendo collassare il mondo.