Mentre i politici fanno a gara a chi la spara “più grossa”, soprattutto per delegittimare l’avversario in vista dello sprint elettorale di febbraio, l’Italia è un aereo in caduta libera. O una nave che affonda piano piano, scegliere un po’ voi.
La sostanza non cambia, i numeri sono macigni, e per quanto ognuno di noi abbia la voglia sacrosanta di essere ottimista, i dati sono dati.
La disoccupazione ufficiale, udite udite, sfiora il 12%, e arriverà nel 2014 al 12,4%. Ma come, il professor Monti non ha detto solo qualche mese fa “intravvedo la luce in fondo al tunnel della crisi”? E altri non hanno affermato “la ripartenza ci sarà nella seconda metà del 2013″, ossia subito dopo le suddette elezioni? Che parlassero di ripartenza in termini di nuova ondata migratoria, degli italiani più giovani verso Paesi meno mal messi e più vitali?
Possibilissimo: perchè, parliamoci chiaro, l’altra frottola a cui dobbiamo rifiutarci di credere è che la crisi stia colpendo in maniera eguale tutto l’Occidente, ergo noi meschina periferia non possiamo farci niente e non abbiamo colpe, ecc ecc…
Sbagliato: la crisi di sistema sta colpendo, e affondando, i Paesi più corrotti e incapaci d’Occidente: la Grecia, l’Italia, il Portogallo, la Spagna. E pealtro quest’ultima ha comunque una chance in più di noi, ossia un’età media della popolazione molto più bassa. In Spagna ci sono tanti giovani insomma, e se riescono a convincerli che non si può vivere tutti di rendita, o facendo gli artisti, certamente usciranno dal famoso tunnel prima di noi: soprattutto perché nello scorso decennio loro un po’ di investimenti infrastrutturali seri li hanno fatti, eccome.
Ma torniamo all’Italietta, che chiamare Bel Paese pare ormai assoluta presa per i fondelli. Se le persone alla ricerca attiva (e vana) di un lavoro sono ufficialmente circa 3 milioni e mezzo, sappiamo bene che il dato va almeno raddoppiato, tenendo conto di lavoratori “in nero”, precari, partite Iva che nascondono abusivato vero e proprio, cocopro da poche centinaia di euro al mese, e senza futuro.
Un esercito di forza lavoro allo sbando, scoraggiato, e dentro cui naturalmente c’è di tutto: dal genio sfortunato allo scansafatiche cronico. Il guaio è che questo Paese, da tempo immemore, fa di tutt’erba un fascio, e anzi è costruito su misura sull’incapacità dei suoi figli: meno sai fare, o hai voglia di fare, più chance ti offro di sopravvivere (non vivere, naturalmente: giacché sarebbe oggettivamente troppa grazia).
Insomma, se sono Confindustria e Inps a lanciare l’ennesimo allarme, sciorinando numeri “da paura”, probabilmente conviene rinunciare a slogan e miraggi “illusori”: prima cominciamo a fare i conti con la realtà, e a smetterla di credere a pifferai magici di ogni risma, e maggiori possibilità avremo di ripartire davvero. Ma scordiamoci scorciatoie che non esistono: ci attendono anni difficili. Per affrontare i quali servirebbero, oggettivamente, una classe dirigente preparata e perbene, e un popolo consapevole. E si fa fatica, oggi, ad individuare entrambi gli elementi.
Perché chiudere la riflessione, amara, con banali iniezioni di ottimismo? Caliamoci fino in fondo nel momento storico invece, che è condizione essenziale per uscirne, con un bel colpo di reni.
Vi ricordate le Poste, salvadanaio del popolo italiano, a cui per decenni i nostri nonni, padri e zie hanno affidato i loro risparmi, contribuendo a sostenere il debito pubblico? Beh, leggete qui, e ditemi se non viene da pensare, a fronte di certe proposte, a un vecchio usuraio impersonato dal “mitico” Paolo Stoppa!
Che brutto specchio dei tempi!
E. G.