La stagione dei Grigi si è conclusa da poco e si è trattata di un campionato composto da momenti esaltanti, docce scozzesi, illusioni, delusioni e beffa finale.
Adesso però, archiviata l’era Magalini, si passa al campionato 2017/2018. In altre situazioni l’analisi sulle cose da fare sarebbe facile: parti dai 78 punti conseguiti e dalla finalissima play off conquistata della stagione passata e, tenendo buono quasi tutto, ti dedichi ai dettagli, cercando di limare particolari e oliare meccanismi.
Ho invece la netta sensazione che il campionato appena finito abbia lasciato una specie di pellicola di cose non dette, di accuse pensate ma mai sostanziate, di diffidenze, di “so ma non dico”, di certezze mai provate, di individualismi e quant’altro. E, lo dico subito, non mi riferisco certo ai tifosi e agli sportivi, perché per loro, se le prime uscite stagionali danno indicazioni di cose fatte bene e vinci le partite tutto passa in cavalleria (a parte i soliti mentecatti che, giusto per far sapere al modo che ci sono anche loro, infamano sui social pescando nel torbido).
Questo “blob” al quale mi sono invece riferito riguarda quello che in gergo si chiama “ambiente”. Ecco, penso che l’Alessandria Calcio stia vivendo un periodo caratterizzato da un ambiente malsano. Se vogliamo dare tutte le responsabilità a Magalini per aver creato questi presupposti facciamolo pure, e certo non ci si sbaglia di molto, ma rischiamo di prendercela con il “convitato di pietra” e di non guardare avanti.
Perché fra poche settimane si ricomincerà a giocare e non credo che la Federazione ci consenta di utilizzare un certificato medico per “terapia psicanalitica di gruppo” al fine di procrastinare i nostri imminenti impegni sportivi.
Per cui a Sensibile tocca un compito davvero improbo: superare ruggini e veleni ancora in circolo, effettuare scelte obbligate ed irrinunciabili, allestire un collettivo di prim’ordine, normalizzare una situazione poco serena, operare in un mercato che ogni anno è sempre più complesso perché vincolato da norme e regolamenti restrittivi e, nel contempo, togliere alibi a chicchessia, il tutto con in dotazione una forza contrattuale che, al momento, non mi pare sfolgorante. E deve fare queste cose in tempi ristretti, con uno spazio di manovra esiguo e dovendo garantire irragionevoli diritti acquisiti a tanti.
Per paradosso penso che, in cuor suo, il nostro Pasquale preferisca non avere niente in magazzino, risorse ridotte alla metà ma partire, magari anche fra un mese abbondante, da una tabula rasa.
Invece deve fare buon viso a cattivo gioco, tener alto il profilo e il morale di molti giocatori che qui, per un motivo o per l’altro, hanno fatto il loro tempo e esercitano un fascino su loro possibili acquirenti simile a quello che Gentiloni può vantare su Cameron Diaz, cioè nulla.
E più questi giocatori tardano a trovare sistemazioni diverse, più ci si convince che si tratta di atleti, e magari anche professionisti, scarsi. Il che, lo voglio urlare, non è vero! Vero è che ci sono stati errori di valutazione e circostanze astrali negative che hanno la probabilità di verificarsi ogni qual volta vedremo un mese composto da sei lunedì.
Ma ormai la tendenza è questa e più si va avanti senza vedere cambiamenti importanti e più si solidifica. Adesso centrifugate tutto, versate dalla centrifuga in un bicchiere e depositate il prodotto su una tavola imbandita da professionisti della comunicazione i quali, in questi ultimi anni, stanno trasformando una polverosa star degli anni ’40 e ’50 in un’attrice rinnovata e sulla cresta dell’onda che può affascinare ancora il pubblico.
Operazione questa ardita e indispensabile, se non che i tempi e i modi del calcio non sempre si conciliano con la “vendita” del prodotto calcio.
Adesso infatti sarebbe il momento del lavoro sotto traccia, del silenzio, di non avere l’occhio di bue puntato sulla zucca, di allentare la tensione sulla squadra e su tutto quello che le gira intorno. Invece sarà concesso rallentare l’esposizione mediatica si, ma solo un po’, perché le regole della comunicazione sembrano inderogabili.
Ma se il marketing e la comunicazione sono una leva straordinaria quando c’è da gestire i successi a volte diventano autentiche incudini e zavorre quando invece bisogna attraversare notti buie e tempestose. Potete star certi, per esempio, che il giorno della presentazione delle nuove divise ufficiali dei Grigi, divise che saranno presumibilmente sempre più mazinga zeta rispetto alle passate perché così va il mondo, sentiremo il ronzare di uno stuolo di mosche cocchiere che ci spiegheranno che le partite si vincono anche indossando una Lacoste bianca, purché sul campo si facciano le cose per bene.
Dal punto di vista dell’immagine siamo ancora in mezzo al guado, nella fase in cui se vinci le partite vendi il materiale griffato ma se perdi, e perdi pure male, qualunque cosa tu proponga diventa un problema.
La scorsa stagione è stato coniato dalla società uno slogan, poi riportato sul materiale tecnico e sul fronte dei comunicati, che era carino, ispirato alle leggende mandrogne e che sottolineava quanto l’Alessandria Calcio fosse composta da gente “irriducibile”. Purtroppo poi sul campo Il “buttare il cuore oltre l’ostacolo” non è stata certo la costante della nostra stagione e di “irriducibili” ne vediamo, certo, ma sono quei giocatori che, conquistato bene o male un rinnovo generoso, saranno “irriducibili” sì, ma nel non muoversi di qua, a meno che qualcuno non gli trovi soluzioni contrattuali ancora più confortevoli.
Il rischio al quale si va incontro quindi è quello di trovarci con mezza squadra demotivata, con quattro o cinque giocatori cardine che non dovrebbero (e magari non vorrebbero) giocare qui, e nessuno vuole rivederli giocare qui, ma la legge dei contratti pluriennali firmati alla cazzo diventa un confine invalicabile.
E’ vero, ci sono i giovanotti che stanno arrivando alla spicciolata (Pop, Ranieri e Pastore) dotati di profili davvero intriganti ma immaginarli, compatibilmente con il ruolo, relegare in panchina l’ottanta per cento del monte stipendi mi pare impresa davvero ardua e l’età, la storia e la ridotta esperienza di Stellini come responsabile unico di una prima squadra professionistica diventa un’incognita in più.
Se da queste premesse dovesse nascere una grande stagione sportiva sarò il primo a riconoscere a Sensibile di aver fatto un autentico miracolo, se invece dovesse incepparsi qualcosa sarò quello che ricorderà a tutti quali fossero le precarie basi di partenza.
Una cosa mi auguro: che Pasquale Sensibile affronti il toro per le corna, diventi il nostro uomo di calcio e si dimostri un capitano coraggioso. Perché da certe secche e in una piazza che fin qui ha dimostrato di capire poco e aiutare ancor meno, dove emergono solo certi leoni autoreferenziali da tastiera che si credono in diritto di rovinare anche il buono che c’è, lavorare proficuamente penso sia davvero un’impresa.