La preoccupazione è tanta, tangibile. Tutto riassunto in una parola, difficile, come Comprehensive Economic and Trade Agreement e meglio conosciuta nel suo acronimo: CETA, l’accordo commerciale tra Unione Europea e Canada, che il Senato italiano dovrebbe sottoporre a ratifica.
Coldiretti si è schierata subito contro ad una decisione che potrebbe portare ripercussioni dannose non solo a livello economico ma anche di immagine per il nostro Paese.
Gli accordi di libero scambio devono essere posti al servizio di obiettivi che tengano conto di compatibilità cruciali quali l’occupazione, i diritti umani, a coesione sociale e lo sviluppo sostenibile. Ciò ha come premessa una logica di trasparenza e un principio di reciprocità fra i contraenti che copra tutte le clausole vincolanti.
Parole che rafforzano in modo incisivo i motivi di preoccupazione sugli impatti economici e sociali del CETA.
L’accordo di libero scambio con il Canada, infatti, non solo legalizza la pirateria alimentare, accordando il via libera alle imitazioni canadesi dei nostri prodotti più tipici, dal Parmesan al Prosciutto di Parma, ma spalanca le porte all’invasione di frumento trattato in preraccolta con il glifosato vietato in Italia e a ingenti quantitativi di carne a dazio zero.
Un impatto devastante sulla coltivazione di frumento in Italia con il rischio desertificazione di intere aree del Paese e una concorrenza sleale nei confronti degli allevatori italiani ma anche un rischio per i consumatori ed un precedente pericoloso nei negoziati internazionali.
“E’ doveroso sapere che con questo accordo potrebbe essere rimessa in discussione la decisione presa in Europa sugli Ogm e rischierebbero di aprirsi autostrade all’ingresso di carne agli ormoni, oggi vietata. – precisa il presidente Coldiretti Alessandria Roberto Paravidino – Tutto tornerebbe in gioco: il frumento di bassa qualità trattato con glifosato che da noi è stato bandito, che diventerà pasta finta italiana, di prodotti con standard di sicurezza sanitaria lontani da quelli strettissimi di casa nostra, di carne suina che si trasformerà in salumi che nulla hanno a che vedere con il nostro Paese. Il tutto sarà agevolato perché si eliminano quelle barriere non solo tariffarie che abbiamo voluto per impedire che sulle nostre tavole arrivino cose che fanno male alla salute”.
E’ necessaria quindi una valutazione ponderata e approfondita dell’argomento, soprattutto in considerazione della mancanza di reciprocità tra modelli produttivi diversi che grava sul trattato. Secondo il Dossier della Coldiretti delle 291 denominazioni Made in Italy registrate ne risultano protette appena 41, peraltro con il via libera all’uso di libere traduzioni dei nomi dei prodotti tricolori (un esempio è il parmesan) e alla possibilità di usare le espressioni “tipo; stile o imitazione”. Ma peserebbe anche l’impatto di circa 50.000 tonnellate di carne di manzo e 75.000 tonnellate di carni suine a dazio zero e l’azzeramento strutturale del dazio per il grano proprio mentre il governo canadese si è già mosso per sollevare questioni di compatibilità del trattato con il decreto di indicazione obbligatoria dell’origine della pasta che l’Italia ha depositato a Bruxelles. A rischio è lo stesso principio di precauzione, visto che la legislazione canadese ammette l’utilizzo di prodotti chimici vietati in Europa.
È un grande regalo alle grandi lobby industriali che nell’alimentare puntano all’omologazione e al livellamento verso il basso della qualità. Nei trattati va riservata all’agroalimentare una specificità che tuteli la distintività della produzione e possa garantire la tutela della salute, la protezione dell’ambiente e della libertà di scelta dei consumatori. Solo per fare un esempio i produttori canadesi potranno utilizzare il termine Parmesan, ma anche produrre e vendere Gorgonzola, Asiago e Fontina, mantenendo una situazione di ambiguità che rende difficile ai consumatori distinguere il prodotto originale ottenuto nel rispetto di un preciso disciplinare di produzione dall’imitazione di bassa qualità. Ma soprattutto si crea una concorrenza sleale nei confronti del vero Made in Italy in cui perde l’agricoltura italiana che ha fondato sulla distintività e sulla qualità la propria capacità di competere. Quindi cosa accadrà? Ci sarà inevitabilmente un aumento delle importazioni di prodotti di bassa qualità. Il costo della carne canadese ad esempio è della metà rispetto alla nostra grazie a modalità produttive discutibilissime. I produttori canadesi in sostanza potranno utilizzare la storpiatura delle nostre denominazioni e anche produrre. Una situazione di ambiguità che rende difficile ai consumatori distinguere il prodotto originale ottenuto nel rispetto di un preciso disciplinare di produzione dall’imitazione di bassa qualità.
“Il CETA mette a rischio uni degli asset storici della nostra Patria. Crediamo che si tratti di un rischio che non possiamo né dobbiamo correre. Non oggi e non più”, ha concluso Paravidino.