prima parte
Come avevo promesso comincio la mia personalissima analisi di quello che ha e che non ha funzionato nella stagione 2016/2017 in casa dell’Alessandria Calcio, stagione che ha avuto momenti esaltanti e deludenti cadute. Mettetevi comodi che cominciamo.
Premetto che 78 punti e primo posto in classifica dopo la regular season, seppur in coabitazione, e secondo posto nel campionatino finale a 28 squadre sono numeri importanti, nonostante tutto ciò non sia bastato per raggiungere l’obiettivo stagionale.
Partiamo innanzitutto da un postulato che credo indiscutibile: quanto Di Masi abbia sbagliato poco importa; sarà meglio per tutti invece che il giovane dandy sabaudo ricominci con il suo entusiasmo da tifoso irriducibile (speriamo in futuro faccia più il padrone e meno l’appassionato…) a pensare alla prossima stagione.
Se comunque un presidente è il primo responsabile della scelta dei principali collaboratori tecnici (DS e Mister) non possiamo imputargli pure le minchiate da parte dei suddetti, bensì una mera responsabilità oggettiva: tanto, almeno nel nostro caso, gli errori di tutti li sistema lui, in primis mettendo mano nel proprio portafoglio e non certamente in quelli altrui (come faceva Veltroni, ad esempio).
Se così non è mi chiedo allora perché un presidente paghi profumatamente un DS quando con il Panini e i soldi in mano venti giocatori riuscirebbe ad ingaggiarli pure lui e dopo basterebbe un professore di ginnastica anziché un allenatore, tanto anche l’ultimo dei tifosi è in grado di individuare gli undici elementi giusti da mandare in campo settimanalmente.
Prima di entrare nello specifico però voglio pure far presente che nel calcio, scienza esatta solo dopo aver visto come va a finire, il migliore degli addetti ai lavori è quello che sbaglia meno.
Partiamo quindi da Braglia e dalla squadra partita per il ritiro. Il Maremmano è un ottimo allenatore, checché ne pensino superficiali e incompetenti, uomo di campo ruvido, poco avvezzo a smancerie e linguate mirate. Al punto che, quando è stato cacciato a poche giornate dalla fine, molti giornalisti, parecchi tifosi e, penso, pure Magalini abbiano stappato, come si dice, bottiglie di champagne. I primi perché parlava troppo poco e solo quando voleva lui. I secondi perché fuori dal campo non dava confidenza e quindi non vellicava l’autoreferenzialità di chicchessia.
Inoltre essendo astemio non partecipava ai giri di birrette serali con i tifosi eccellenti, attività questa che altri allenatori e Ds del passato ritenevano parte integrante del loro lavoro. Per l’allora DS invece, dotato di quegli occhietti da criceto velati da occhialini perfetti per un ragioniere tuttofare di una equivoca finanziaria del Nord Est, chiunque del settore tecnico che potesse frapporsi fra lui e il suo datore di lavoro rappresentava un problema, figurarsi un mister senza peli sulla lingua.
Basta vedere i rapporti che il DS ha tenuto con gli altri allenatori che nei tre anni del suo contratto sono passati di qua: tutti assunti con l’avallo di Di Masi ma, dopo il primo giorno di lavoro, diventavano non dei responsabili tecnici con i quali collaborare bensì delle cavie di cui studiarne limiti e difetti per, alla bisogna, minare la loro credibilità nei confronti di proprietà, staff e giocatori.
Inoltre ogni sessione di mercato serviva al nostro “ragioniere del Nord Est”, tra l’altro, per consolidare il proprio peso all’interno dell’organico, e quindi dello spogliatoio. Attenzione, quando dico “peso” non parlo di autorevolezza bensì dell’atteggiamento tipico di quello che ci mette le mani, l’appetito ma mai la faccia.
Difatti Magalini in tre stagioni è stato abile a defilarsi sempre in occasioni di momenti topici e difficili, lasciando su scomode ribalte sempre qualcun altro, facendo finta di essere quello che passava di lì per caso. Poi tirava le fila e con i suoi occhietti semichiusi e la smorfia del perenne scocciato, licenziava le critiche e le responsabilità con la teoria più ipocrita e furbesca del mondo: “ il Presidente sa tutto e non faccio mai niente che lui non sappia, se non vi va rivolgetevi a Di Masi “.
Per anni, naturalmente, nessuno si sarebbe sognato di contestare il Presidente idolo della curva e quindi il muro di gomma ha funzionato alla grande. Poi è arrivata la sua terza stagione, quella appena terminata, da DS: un mercato estivo grandioso così passa in cavalleria, per esempio, il fatto che anche stavolta Magalini, dopo aver fatto girare almeno 13 giocatori a stagione in sei sessioni di mercato non sia riuscito a cedere (anche gratis) un giocatore che è uno senza ricorrere a “l’incentivo all’esodo“ se ancora contrattualizzato.
Inoltre ha lasciato partire, naturalmente gratis, giocatori come Mora, Sabato e Marconi, evidentemente macchiati del peccato originale di non essere stati ingaggiati da lui. Al contrario poi ha rinnovato contratti a giocatori modesti e usurati ma “roba sua“.
Di fatto l’Alessandria spesso ha speso per acquisire giocatori e poi ha speso per toglierseli dai piedi…. tanto Di Masi era d’accordo, quindi dove stava il problema?
In seguito spiegherò che il problema invece c’é e, credetemi, del portafoglio più o meno gonfio del Presidente, mi importa poco.
La squadra attuale comunque è stata così concepita: un portiere giovane, Vannucchi, rivelazione della stagione precedente con una riserva (La Gorga) ugualmente giovane ma solo più scarso, al punto che, nel momento di crisi acuta del titolare a nessuno è venuto in mente di utilizzare la riserva.
Per il ruolo di terzino destro fiducia illimitata a un giocatore legato al DS
(Celijak) che costa una centomila netti all’anno, non certo un giovane di prospettiva, il quale già l’anno passato aveva offerto un rendimento mediocre.
Vorrei ricordare che in serie B terzini destri che guadagnino un ingaggio simile penso siano tre al massimo e tutti dotati di curricula a prova di bomba. La media ingaggio per giocatori di quel ruolo in Legapro, tanto per intenderci, non passa i 25.000 euro…. Ovviamente, vecchio trucco dei volponi di tre cotte, se ci fate caso, da quando è arrivato il croato, il rincalzo nel ruolo è sempre stato un ragazzino senza grandi qualità, così il cocco del DS non è mai stato messo in discussione dal mister di giornata, pena il cambio di modulo.
Sul terzino sinistro invece si punta ancora su Manfrin, in prestito biennale dal Chievo, speranza mancata per la Serie A, ma con uno stipendio da giocatore arrivato. La prima stagione ad Alessandria Manfrin ha giocato poco per problemi fisici, giocatore mancino elegante e dai piedi educati ma con evidenti problemi di carattere perché, quando c’è da correre sulla fascia a perdifiato e far legna, dimostra limiti di concentrazione e di applicazione evidenti.
Dietro di lui è stato ingaggiato in prestito il giovane Barlocco, pure lui mancino e un solo campionato di C, non certo memorabile, sulla sua scheda personale.
Riguardo invece il ruolo di difensore centrale la scelta cade su Piccolo e Gozzi.
Il primo, buon mestierante un po’ sfiatato, ha calcato palcoscenici importanti e del fulgido passato mantiene un’allure di antica gloria sia in campo sia nello spogliatoio. Maestro nell’incrociare la palla, non parla con i compagni di reparto neppure sotto tortura, fa il suo (pure bene) ma per il resto lasciatelo stare perché sembra arrivato da un altro mondo e con gli umani non sembra legare. Gioca di posizione, ma il suo raggio d’azione medio è inferiore ai 18 metri quadri, agisce solo spalle alla propria porta ma nelle aree intasate la sua corpulenza e l’innato senso della palla ne fanno un cardine difensivo. Prima di arrivare da noi non ha giocato per un’era geologica per motivi mai ben chiariti.
Adesso passiamo a Gozzi, l’altro gigantesco centrale. Arrivato nel luglio scorso dal Modena è stato protagonista di tanti campionati in cadetteria con rendimenti medi sempre interessanti. In coppia con Piccolo formano un duo imbattibile sulle palle alte, ma poco incline a intercettare i fraseggi rasoterra altrui. Entrambi patiscono le palle lanciate nello spazio fra loro e il proprio portiere. Gozzi fa un precampionato preoccupante ma quando comincia il calcio vero diventa una roccia nonostante sia ormai in fase calante, e avergli concesso un biennale non mi pare proprio un’ idea geniale. Inoltre non mi pare essersi mai rivelato come un elemento catalizzante dal punto di vista del gruppo.
Il primo rincalzo dei due è Sosa, pupillo di Magalini, giocatore svelto che, volendo, può anche fare l’esterno destro. Sembrerebbe giocare trattenuto da un filo legato ad un palo della propria porta lungo una ventina di metri al massimo così, ogni volta che la difesa si alza, lui è come se fosse frenato da quel filo invisibile e fa rinculare tutta la linea difensiva. E non dimentichiamo Fissore, un terzino centrale mancino ideale per una difesa “a tre“, per questo pochissimo utilizzato, e mandato a gennaio a rinforzare le fila del Como assieme all’altra ideona Sperotto, arrivato qui un anno prima e imbarcato nel giugno scorso.
A metà campo invece confermati Nicco, Branca e Mezavilla (il centrocampo “ a tre” della stagione precedente) mediani centrali ed arriva, su espresso desiderio di Braglia, Cazzola dal Livorno, un incontrista sublime, possente ed intelligente, bravino di piede e ottimo di testa, uno dei due soli mediani ideali per un “reparto a quattro“, da accoppiare, quanto a caratteristiche, a Mezavilla. Gli altri due infatti (Nicco e Branca) sono mezze ali con la tendenza a portare la palla anziché farla correre a due tocchi verso gli esterni o in profondità; pure in fase di ripiego non hanno la dote innata di incrociare palla ed avversari.
Purtroppo il brasiliano è un giocatore usurato, benché uomo e atleta impeccabile, da mille battaglie al calor bianco, per cui inizia bene il campionato ma con i mesi perde brillantezza.
Adesso passiamo agli esterni mediani. Iocolano (il “colpo di mercato” del gennaio precedente) e Marras sono confermati ma anziché essere utilizzati come punte esterne del 4-3-3 di Gregucci diventano esterni di centrocampo del 4-4-2 di Braglia. Si piazzano in campo “a piedi invertiti“, con il mancino a destra e il destrorso a sinistra.
Quasi a fine mercato arriva dal Chievo in prestito Sestu, giocatore sublime ma dalla carriera tormentata dalla fragilità fisica. Può giocare sia sulla fascia dritta che su quella mancina, crossa che è un sogno e lascia sistematicamente sul posto il suo diretto marcatore. Sarebbe il terzo esterno da alternare agli altri già in organico, sarebbe quello che crea superiorità numerica nei confronti dei difensori avversari, sarebbe quello che crossa palloni tagliati e imprevedibili in area altrui; sarebbe appunto, ma non lo sarà perché sempre fermo ai box per problemi fisici i più disparati e caratterizzati da degenze sine die. A campionato visto un giocatore di quella qualità e con quelle caratteristiche, se avesse avuto un ciclo di infortuni appena normale, avrebbe sicuramente portato più di quel punticino che ci serviva per vincere il girone. Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, come si dice.
Adesso passiamo all’attacco. Dal Novara arriva Pablo Gonzalez, seconda punta che agisce alle spalle del confermato Bocalon, prima punta. Se il secondo si conferma bomber di razza, micidiale negli spazi intasati e con un fiuto del gol non comune, il nuovo arrivato invece si rivela devastante nell’aprire, grazie a cavalcate esaltanti, le difese avversarie come lattine di Coca Cola.
In attacco non dobbiamo dimenticare la conferma di Marconi, giocatore ruvido ma gran lavoratore e capace di regger palla come pochi. Utile soprattutto quando la squadra fatica a far gioco oppure quando la partita deve essere controllata, è un ragazzo meraviglioso che si adatta a fare la sua parte senza pretendere altri spazi.
(continua)