Florinda arriva a scuola poco prima di Natale.
Viene da un paese dell’Est Europa e non conosce una parola di italiano.
Viene inserita in una classe seconda media così, solo perché l’età prevede che stia con i coetanei.
Senza mediatori culturali, senza che nessuno possa comunicare con lei, senza capire cosa le accade intorno, senza riuscire ad interpretare i sorrisi e le facce scure dei compagni, senza comprendere le parole dure o gentili degli insegnanti, arriva giugno.
Florinda d’estate ritorna per un mese nel suo paese d’origine e vive questa parentesi come un pesce a cui si dona un’ultima pozza d’acqua prima di ritornare sul banco della pescheria.
In queste settimane si discute delle modifiche alla Legge sulla Cittadinanza e dello Ius Soli.
Il tema è incandescente e divide.
Divide le parti politiche poiché l’italiano medio credo abbia un sentire comune.
Certo, ci saranno alcuni (pochi) che inneggiano ancora alla pura razza italica, scomparsa già dal secondo dopoguerra.
Ma negare un diritto conquistato sul campo vuol dire andare contro al concetto di integrazione che è sulla bocca di tutti.
Caro Stato: su, isoli!
In questo modo non ci siamo.
Esigiamo una linea retta ed equa.
L’accoglienza va ponderata ma non è sufficiente se non è seguita dall’integrazione.
Chi è integrato poi dovrà conoscere bene i propri doveri e solo in questa direzione potrà aspirare all’equiparazione dei diritti.
Il processo richiederà tempo ma sarà inevitabile e naturale.
La piccola Florinda potrà decidere di restare in Italia e contro tutto e tutti avere figli che parleranno e voteranno italiano.