Dunque se ne è andato anche Giuliano Sarti, primo nome di quella filastrocca Sarti-Burgnich-Facchetti che tutti gli appassionati di futból ancora conoscono, e che noi alessandrini possiamo proseguire con Tagnin, perché il mediano di Valle San Bartolomeo era in campo al Prater quando la grande Inter batteva nettamente in finale di Coppa dei Campioni il Real Madrid (cosa che non riesce a tutte le squadre italiane, diciamo).
Partita spaccata da Sandrino Mazzola, unico esempio di calciatore con due padri che stanno nella storia del nostro calcio, perché quasi non conobbe quello biologico Valentino, ma venne poi cresciuto calcisticamente da Peppino Meazza.
“Sí, ma era già anche l’Inter di Tagnin. Qualche mese prima avevo comunicato ad Herrera che ero riuscito ad ottenere la riduzione della squalifica di Tagnin, il quale, quando giocava nella Lazio, non aveva denunciato le pressioni telefoniche ricevute da uno del Bari perché i giocatori della Lazio non si impegnassero… Aveva avuto un anno e mezzo di squalifica e io avevo ottenuto che fosse ridotta a sei mesi. La notizia sembrò eccezionale al “mago” che si sprecò in una serie di elogi… Herrera mi aveva preannunciato: “Farò giocare Tagnin mediano destro in Coppa dei Campioni”.
E così avvenne. Già a Liverpool aveva annullato la mezzala sinistra dell’Everton; a Dortmund poi non fece toccar palla a Konietzka, lo stesso che in una partita tra le Nazionali in Italia e Germania aveva fatto impazzire il suo marcatore.” (Peppino Prisco in ‘Pazzo per l’Inter’)
Opera che il biondino completerà annullando, in finale, addirittura Alfredo Di Stefano.
Come Carlo Tagnin, da tanti anni se ne sono andati giovani, della fortissima difesa della grande Inter, anche Giacinto Facchetti e, nemmeno quarantenne il libero e capitano Armando Picchi che all’avvio della carriera da allenatore aveva dimostrato, sulla panchina della Juventus, di avere i mezzi per fare a bordo campo quello che già, di fatto, faceva guidando difesa (e squadra) in mezzo al campo, prima del male atroce che lo portò via in pochi dolorosissimi mesi.
Giuliano Sarti era un ’33, bolognese e tifoso dei felsinei con cui non giocherà mai.
Come mi ricordava un paio di giorni fa mia madre, che fa parte della nutrita componente rossonera della famiglia, lui portiere essenziale arrivò in una Milano che, negli anni cinquanta, aveva molto ammirato numeri uno spettacolari, Lorenzo Buffon (nessuna parentela) coi casciavit e il “kamikaze” Giorgio Ghezzi coi bauscia. (Allora tra i tifosi del Milan molti erano gli operai, da cui “cacciavite”, mentre i nerazzurri erano più snob, “bauscia” appunto).
Sarti in carriera fece una sola papera, purtroppo indimenticabile, giusto cinquant’anni fa.
Giovedì 1 giugno del ’67 si recuperavano le partite decisive dell’ultima giornata rinviate dalla precedente domenica perché in settimana l’Inter, evidentemente bollita, aveva perso a Lisbona la finale di Coppa dei Campioni contro gli scozzesi del Celtic.
L’Inter affrontava il Mantova che in porta schierava un altro portiere essenziale, poco spettacolare ma quasi imbattibile, il giovane Dino Zoff.
“Dopo Lisbona viene Mantova. È l’ultima partita di campionato. – scrive Gianni Brera. L’Inter ha ancora un punto di vantaggio sulla Juventus, alla quale il fiero Accacchino (l’allenatore Heriberto Herrera, così chiamato da Brera in contrapposizione con Accaccone, Helenio – n.d.r.) ha energicamente vietato di rassegnarsi. Mi dirà un giorno Ivanhoe Fraizzoli, successore di Moratti all’Inter, che i mantovani avevano dato a Helenio Herrera piena facoltà di procedere alla formazione (loro!) che più gli facesse comodo. Il general manager dell’Inter, Italo Allodi, è di Mantova e proprio lui e Fabbri avevano pilotato la squadra in serie A… Un tiruzzo di Di Giacomo che poteva sembrare un passaggio è stato messo dentro a palme aperte da Sarti, che per disperazione ha poi battuto la testa contro il palo.”
Giuliano Sarti, portiere molto forte e persona molto seria, fino alla fine ha evitato di ricordare quell’unica papera di una carriera eccezionale.