Finita la partita col Lecce è finita anche la storia dei “parterre”, tradizionale unicità del meraviglioso Mocca, uno stadio che non scambierei neanche con Anfield, figuriamoci con questi moderni intitolati a compagnie aeree gonfie di petrodollari, banche e assicurazioni, altre associazioni a delinquere.
Nel parterre mi ci portava mio papà quando ero bambino, storia comune a tantissimi tifosi grigi, per tante generazioni.
E ricordo Giuseppe Lorenzetti, il mio primo idolo. Una domenica ci diedero una punizione dal limite, la tirò nel sette, la giacchetta nera la fece ribattere, lui la tirò nell’altro sette. Peppuccio, che non c’è più, aveva uno striscione, appeso nel rettilineo di fronte, che spiegava bene quanto fosse forte: “Rivera + Benetti = Lorenzetti”.
Ricordo che mio padre mi presentò un signore, che io bambino trovai vecchio, col cappotto spigato e il cappello in testa come tutti gli uomini allora. Era un suo collega, mi disse, e me lo presentò con deferenza, spiegandomi che aveva giocato anche in nazionale, il geometra Avalle. Nei parterre imparavi la storia gloriosa dei grigi.
Ricordo Arrigo Dolso, che vedevamo tanto perché come noto giocava sempre all’ombra della tribuna, con le “calze a cacarella” (copyright Brera) come Mariolino Corso, che allora era il giocatore preferito di mio papà che ha sempre avuto un debole per i mancini talentuosi e indolenti, via via fino al Chino. Ricordo la volta che Dolso corse per tutto il campo, cosa mai vista, per… tirare un solenne calcio nel culo a un difensore avversario. Non erano ancora tempi di prova tivú, vivaddio.
Ricordo quando noi “banotti” (se per caso non sei di Alessándria ma hai letto fin qui, mi dispiace il significato di “banotto” non te lo posso svelare) scendevamo fin dietro la panchina per sentire le coloratissime, fantasiose bestemmione che tirava il mitico Viganò.
E ricordo Volpato, sciagurato, sbagliare da due passi a pochi minuti dalla fine dell’ultima giornata, mi pare contro il Taranto, il gol che ci avrebbe salvato evitandoci lo spareggio con la Reggiana e la discesa nell’eterno inferno delle C.
Ricordo quell’Alessandria-Parma, con il Mocca pieno come non l’avevo mai visto prima e come non lo vedrò mai più, e quel giorno anche mio padre, che seguiva sempre le partite in silenzio, quel giorno anche lui urlò. E ricordo “faina” Salvadori staccare e segnare di testa il gol della vittoria in quella partita epica, e io ero il bambino più felice del mondo mentre per mano a mio padre, insieme a tantissimi altri tifosi esultanti, uscivo dai parterre.