Proviamo per un giorno (e magari anche un po’ di più) ad uscire dal lacrimevole contesto dell’Alessandria parastatale? Tanto della situazione Comune e dintorni abbiamo già detto di tutto di più, e non ci resta che attendere proposte concrete da chi ricopre ruoli decisionali. Ferma restando la piena solidarietà per tutti i lavoratori dell’ente e delle sue partecipate, a cui lo stipendio va pagato con regolarità, auspico da questo punto di vista che nessuno si dimentichi di chi sta nelle cooperative. Sono loro quelli davvero in prima linea, e svolgono attività essenziali e insostituibili: a partire da quelle nell’ambito dei servizi sociali. Eppure il mio dubbio è che le cooperative stesse siano considerate “sacrificabili”, solo perchè i loro soci lavoratori non hanno superato un concorso pubblico.
Detto questo, cerchiamo di dare fiato, più possibile e tutti insieme, anche all’Alessandria che lavora nel settore privato, e che vorrebbe lavorare di più e meglio.
In un territorio sano deve esistere un forte tessuto di attività private: produzione, commercio, artigianato, libera professione. Se il modello cultural-economico degli alessandrini rimane quello di oggi, ossia lavoro pubblico e pensioni, abbiamo già perso, e ci aspetta un futuro “nerissimo”. Per ragioni strutturali evidenti.
Eppure del lavoro privati si parla solo “a latere”, del tipo: “se non paghiamo gli stipendi pubblici non lavorano neppure i bar e i negozi”. Sì, è vero: ma è anche vero che un’economia che si fonda su un simile circuito ha un respiro corto, cortissimo.
A me ha sempre colpito un fatto: ad Alessandria e nelle aree circostanti (lo dicono le statistiche, ma anche banalmente il numero di sportelli bancari) esiste un risparmio privato notevolissimo. Del resto alzi la mano chi non conosce diverse ottantenni milionarie, con figli impiegati pubblici e nipoti laureati disoccupati o ampiamente sottoccupati. Ma può una società (problema non solo locale, lo so: in provincia però si nota di più che nelle grandi città) campare di rendita? No, non può: prima o poi collassa, ed è quello che sta succedendo.
Eppure io di persone che si alzano alle 6 di mattina, e si sbattono 6 giorni su 7 per tenere in piedi la loro attività ne conoscono diverse. Certo, non hanno tempo di leggere i giornali, soprattutto quelli on line. E quindi forse ci interessano meno, perché abbiamo costruito un circuito autorefenziale, rendiamocene conto.
Ma è solo se il territorio (comprese le sue istituzioni pubbliche) saprà aiutare chi ha capacità e voglia di darsi da fare che usciremo dalla spirale in cui siamo precipitati. Invece spesso accade il contrario. Ecco due piccoli aneddoti che mi hanno raccontato in questi giorni, abbastanza significativi.
Esempio numero uno: Piero (nome d’arte) da due mesi (60 giorni) aspetta che nel suo laboratorio di artigiano l’Amag attivi l’erogazione del gas. Gli avevano detto massimo 30 giorni. “Il problema non è tanto il freddo, quello ci fa un baffo. Il punto è che al di sotto di una certa temperatura le mie lavorazioni si rovinano, i materiali non possono essere trattati”.
Esempio numero due: Gianni, che un’attività imprenditoriale per sua fortuna già ce l’ha, ha pensato di avviarne una seconda: una roba piccola, di nicchia, ma che potrebbe funzionare. Ma non ha fatto i conti con l’ente Provincia, “che da 6 mesi deve mettere la firma su un permesso, dopo una serie infinita di pratiche e sopralluoghi”.
Ora ditemi voi: Amag e Provincia, in questi casi come magari in diversi altri, stanno aiutando il territorio a reagire? E’ un discorso appena accennato, e che mi piacerebbe sviluppare anche con i vostri contributi.
E. G.
Ps: le pecore che escono dal recinto (pubblico) sono una piccola provocazione, lo so. Ma foto di Palazzo Rosso e Palazzo Ghilini ne abbiamo pubblicate anche troppe, no?