Ancora stamattina ero impegnato nella lettura degli articoli riguardanti lo sciopero del 14 aprile all’Outlet, l’ultimo sull’Avvenire.
Non esiste un giornale cartaceo,un blog,un tg,che non abbia dato la notizia con conseguente commento. Questo fatto di per sè rappresenta un enorme successo. Il fatto che a questa manifestazione si sia data valenza positiva o negativa, che il commento sia stato favorevole ai dipendenti o agli imprenditori poco importa, finalmente si è iniziato a discutere del problema.
Personalmente ritengo che l’aver bloccato per un’intera mattinata l’Outlet più grande d’Europa sia stato un successo memorabile, e se a qualcuno sembra cosa da poco, probabilmente è solo perché non ha mai fatto uno sciopero, o non ha dovuto farlo perché altri ci hanno pensato prima di lui.
In effetti gli anni ’70 sono lontani, molti nei giorni successivi chiedevano, non nascondendo un filo di ironia, cosa avessero ottenuto i manifestanti, come se nessuno ricordasse più che le grandi lotte per ottenere diritti di cui oggi probabilmente loro stessi godono hanno comportanto battaglie lunghissime,condite da infiniti giorni di sciopero e manifestazioni di piazza.
Potrei citare decine di esempi, ma credo basti pensare al più importante,quello “Statuto dei lavoratori” conquistato dopo anni di battaglie sindacali, scioperi e manifestazioni di piazza, dove quasi sempre schierati accanto ai lavoratori si trovavano gli studenti.
Proprio questo connubio studenti/lavoratori fornisce l’occasione per rispondere ad alcune osservazione fatte da un imprenditore che svolge da anni parte della propria attività all’interno dell’Outlet, il quale dalle pagine del quotidiano “La Stampa” chiedeva cosa c’entrassero metalmeccanici o altre categorie, in quel contesto.
Gli rispondo volentieri, utilizzando un termine spesso abusato, forse solo perché non se ne comprende più appieno il significato: SOLIDARIETA’.
Questo lo considero l’altro grande successo dell’evento: eravamo tanti tra dipendenti, lavoratori di altri settori e comuni cittadini, forse perché consapevoli che domani potremmo essere noi a lottare per qualche altro diritto.
La politica? Assente ingiustificata,quella locale non è stata in grado non dico di partecipare, ma nemmeno di esprimere una qualunque opinione. Si può essere pro o contro, ma in casi come questi astenersi è imperdonabile segnale d’indifferenza, al quale per altro chi opera in settori privati è abbastanza abituato.
Se ne sono dette tante, riguardo al fatto che chi accetta di lavorare in “quei luoghi” firma contratti in modo consapevole.
E io domando: esiste un contratto collettivo? E poi siamo sicuri che i punti vendita all’interno dell’Outlet rispettino la legge Regionale 18 Dicembre 2012,n.15?
Questa legge stabilisce chiaramente le regole per definirsi Outlet e non rispettandola, oltre alle sanzioni previste si perderebbe il diritto di operare in queste strutture. SIAMO SICURI?
E infine, basta confondere i servizi essenziali (sicurezza,sanità) o le lavorazioni a ciclo continuo,con lo shopping!
Lavorare 365/365 h24 è triste “privilegio” di noi italiani, invischiati in quel delirio di decreto chiamato “salva Italia”.
Tutta l’Europa “che conta”, tutta l’Europa che cresce, ha limitazioni riguardo a giorni e/o orari di apertura. Paesi che corrono ben più di noi con tassi di disoccupazione decisamente inferiori al nostro stabiliscono regole, e le loro economie sono molto sane della nostra.
Chi sta sbagliando? Siamo noi quelli contromano sull’autostrada o sono tutti gli altri che hanno sbagliato ingresso?
Facciamoci qualche domanda.