Il 17 ottobre il processo in Corte di Assise si avvia con una buona notizia. Solvay, imputata con dolo per avvelenamento ambientale e omessa bonifica, ha i soldi necessari per la bonifica. Per bonifica intendiamo l’asportazione totale dei 21 veleni tossico cancerogeni sotterrati a tonnellate, e non quel progetto aziendale che aveva trovato, secondo le intercettazioni della Procura, la sponda interessata al business dell’ex presidente dell’Amag, quel progetto fasullo di “pulire” l’acqua prelevandola dall’enorme falda, come togliere l’acqua dal mare con un cucchiaio.
Il proposito dell’azienda di Spinetta Marengo era in realtà di risparmiare gli ingenti capitali necessari per “scorticare” profondamente i veleni che come una spugna colano in falda. Né per bonifica si possono millantare… le iniezioni nei terreni inquinati, come fare punture di antibiotici per malattie tumorali. Né per bonifica si può intendere il palliativo della sempre disponibile Università alessandrina di… sanare i terreni tramite le radici delle felci.
I capitali ci sono, per stessa ammissione di Solvay. La quale annuncia di esportare a tutto spiano nel mondo il 90% dei suoi 1.500 prodotti per centinaia di milioni di euro. Per avvalorare il proprio stato di salute finanziario, Solvay annuncia anche massicce assunzioni, pur se questa è la periodica propaganda ai giornalisti in quanto l’occupazione complessiva in vero continua a scendere: oggi è sotto i 600 addetti. I capitali ci sono anche perché Solvay risparmierà con il nuovo contratto di lavoro ennesimo bidone dei chimici, applauditissimo da Cisl e Uil, che, senza un’ora di sciopero, elemosina ai dipendenti poche decine di euro, e neppure garantite perché soggette a revisione aziendale, cioè a discrezione dell’azienda. D’altronde i capitali ci sono sempre stati: Solvay, e prima di lei Ausimont, hanno sempre fatto profitti a palate mentre si dichiaravano in crisi per ricevere cospicui sussidi dallo Stato.
Eppure, riottosa a rinunciare ai profitti per destinarli alla bonifica, la società belga minaccerà addirittura di chiudere lo stabilimento, spalleggiata dai sindacati. Certo, la sua posizione processuale non è delle più facili, anche perché si sta per aprire un secondo procedimento penale per inquinamenti, con altre morti e ammalati da risarcire. Non basterà la connivenza sindacale che già vede la sola Cgil presentarsi al processo come parte civile, ma solo per se stessa e per neppure un solo lavoratore morto o ammalato, compito che si è dovuto assumere Medicina democratica. Né basterà la storica complicità delle istituzioni locali, pur se oggi va colto il timido tentativo di alcuni consiglieri comunali e provinciali di intervenire tramite le rispettive commissioni. Solo per l’aggressione atmosferica in atto sono già state individuate 1.500 punti sensibili di emissioni nocive. Per non parlare delle acque: Solvay preleva un fiume di acqua dalla falda, pari a tutto il consumo civile di Alessandria, miscela e scarica insieme alla francese Arkema i veleni in Bormida, come noi abbiamo denunciato per il Pfoa cancerogeno e teratogeno fino alla foce del Po.
Il compito che si sono date le commissioni è un po’ pomposo: “Stabilire la compatibilità complessiva dello stabilimento con il territorio”, come a paventare la possibilità di una chiusura produttiva. Uno spauracchio che non esiste se all’azienda vengono imposti gli investimenti per cessare gli inquinamenti oggi emessi nell’acqua e nell’aria (es. Pfib, Pfoa, cloroformi ecc.) nonché per operare una vera bonifica del regresso. Ciò è possibile sempre che il suddetto risanamento, dopo averlo imposto, sia finalmente controllato dalle istituzioni preposte e non “filtrato” dall’azienda. L’Arpa continua a lamentarsi di non potere entrare in fabbrica di propria iniziativa (però non controlla neppure all’esterno) ma la Magistratura può farlo. Dunque facciamo affidamento sulla Corte di Assise, dopo la buona notizia che i soldi ci sono, ovvero ci sarebbero per non fare la fine dell’Ilva.
Lino Balza
Medicina democratica Alessandria