Della vicenda dei rimborsi agli assessori provinciali alessandrini si sono già occupati in diversi, anche con titoloni a tutta pagina, e forse qualche inesattezza di troppo.
Magari quindi giova tornarci sopra per cercare di fare qualche riflessione pacata. Anche se la pacatezza non è, di questi tempi, certamente il sentimento popolare prevalente, a fronte di certi scenari nazionali di ruberie difficili da negare, e ad altri contesti locali di cronica mancanza di risorse e, forse, anche di carenza di vero indirizzo politico. Almeno percepito.
Ma stiamo sulla Provincia, cercando di non fare di tutt’erba un fascio: io non penso che gli amministratori locali (e spero neanche nazionali,ma sono lontani, ne ho solo una percezione mediatica: quindi alterata per definizione) siano tutti ladri. Anche se capisco pienamente che gli animi dei cittadini siano esacerbati, come sempre succede quando la coperta è corta. E quest’inverno a patire il freddo saranno davvero in tanti.
Però, appunto, non generalizziamo: un assessore mi ha spiegato che in quei rimborsi, almeno nel suo caso, sono compresi tutti gli spostamenti compiuti per conto dell’ente per incontri sul territorio, promozione, relazioni istituzionali. E io ci credo. Mi ha anche aggiunto che spesso paga di tasca propria pranzi di lavoro con ospiti, e che i costi di usura auto a suo carico arrivano a diverse migliaia di euro l’anno. E credo anche a questo. Così come è opportuno renderci conto che comunque i costi della politica incidono in maniera non così rilevante sul bilancio complessivo di Palazzo Ghilini. Anche se certo va di moda enfatizzarli.
Sono però anche convinto che:
1) nessun lavoratore beneficia di rimborsi benzina per raggiungere la sede di lavoro. Gli amministratori della Provincia sì, e se ben ricordo la questione emerse pure con Repetto sul fronte Amag: potremmo sapere se la stessa regola vige anche a Palazzo Rosso, e nelle altre partecipate pubbliche locali? E non sarebbe il caso di rivederla?
2) è sacrosanto che chi si sposta dalla sede di lavoro sul territorio lo faccia a spese dell’ente. Compreso il pagamento dei pranzi con gli ospiti (magari in pizzeria, dati i tempi). Però tutto andrebbe rendicontato con “pezze” d’appoggio, e non con semplice autodichiarazione. Per i comuni lavoratori, torno a ripetere, funziona così.
3) Non esistono, in Provincia e altrove, dirigenti preposti a gestire anche questi aspetti, “dettando” semplicemente regole chiare ai politici, che sono per loro natura pro tempore? Non so a voi, ma a me questa figura del dirigente pubblico inamovibile, strapagato e deresponsabilizzato inquieta un po’. E mi sembra un’altra anomalia su cui intervenire.
4) Non facciamo però facile qualunquismo: gli assessori provinciali, come quelli comunali o regionali, non sono tutti uguali. C’è chi corre e si “sbatte” (anche se la misurazione dei risultati è sempre piuttosto difficile, perché i percorsi sono spesso frammentati e poco lineari), e chi sta lì al caldo, “e non sa neanche più dove sia la propria sede di lavoro precedente”, se posso parafrasare il concetto espressomi, in camera caritatis, da un noto esponente politico locale.
5) Poiché non ci piace cavalcare proteste populiste, diciamo pure che la scarsa produttività di certi enti va però misurata non solo in testa, ma anche in coda. Certo, a rispondere dell’andamento di una struttura devono essere politici e dirigenti, ma se davvero si volesse (ed è lecito dubitarne) avviare una nuova stagione, forse sarebbero in tanti a dover “cambiare passo”.
6) Facciamo due scommesse, naturalmente con in palio un semplice caffè? Io sostengo che, entro fine anno, il governo Monti con un bel decreto o simili posticiperà di un anno qualsiasi procedimento di riforma legato alle Province.
Sono anche convinto che il presidente Filippi non si dimetterà, ma resterà alla guida dell’ente fino a scadenza di mandato. E questo lo scopriremo tra una decina di giorni: a meno che, leggendo queste note, non ci conceda uno “scoop” in anticipo.
E. G.