Succede.
Succede che, rovistando fra vecchie carte alla ricerca di chissà quale prezioso e perduto appunto, ti capiti fra le mani un ingiallito fogliettino vergato con una calligrafia che sembra la tua e che invece non lo è più. Gli getti un’occhiata e leggi una parola accompagnata da una data sinistra e precisa: “classifica del 29 gennaio 1976”.
Allora si apre per qualche istante una porta fra due dimensioni temporali e ti ricordi, di botto e con precisione, situazioni, eventi e personaggi che giacevano sepolti a qualche chilometro più in basso, nel famoso inconscio.
Il fogliettino lo trovai un bel po’ di anni fa, una domenica pomeriggio mentre fuori scrosciava una violenta pioggia primaverile. Mi ricordai che nel gennaio ’76 mi occupavo – non lo feci così a lungo – della classifica dei dischi più richiesti dagli ascoltatori di Radio Alessandria International.
In quell’appartamento all’ultimo piano, a pochi metri dal fiume Tanaro, ci andavo praticamente tutte le notti a scimmiottare Lupo Solitario. Lassù si trovava la radio, libera e pirata come si diceva allora, in realtà né l’una né l’altra. Là “si facevano cose”, si conosceva gente, ci s’illudeva di cambiare il mondo blaterando scemenze al microfono. Comunque ci si divertiva e volte si rimorchiava persino. Qualcuno ci si è pure sposato.
La classifica andava in onda dalle quindici alle quindici e trenta del pomeriggio. Di notte non era possibile, data la notevole quantità di casalinghe impegnate nei mutamenti della graduatoria.
All’epoca ero dotato di Dyane rossa, con il sedile a tal punto sprofondato che durante le soste ai semafori gli autisti al mio fianco commentavano solidali: “Guarda quel nano, poverino. Come farà ad arrivare ai pedali?”. Sono certo di quel che riporto; sono bravissimo a leggere il labiale.
Altre piccole note di costume dell’epoca: in Alessandria, a metà degli anni ’70, tutti erano socialisti, anche quelli che non lo erano. Si contavano socialisti attivi, viventi, e votanti persino sotto terra, morti. Conteggi da pompa funebre che saltavano fuori durante i congressi del partito. Una notissima agenzia di pubblicità che vedeva lontano si era accaparrata l’esclusiva della pubblicità della radio. Le Brigate Rosse sparavano una mattina sì e una no. La musica di quel periodo, tutto sommato, faceva abbastanza schifo. Nel cielo si vedevano un sacco di UFO e Paolo Toselli decise allora quale sarebbe stato il suo destino sulla Terra, Il film Ultimo tango a Parigi stava per salire sul rogo a mo’ di pericolosa Giovanna D’Arco in celluloide.
La classifica del 29 gennaio 1976 partiva come tutte le classifiche dal fondo, ovvero dal basso. La cuffia che la radio passava in dotazione pareva un cimelio aeronautico della seconda guerra mondiale, pesante come un boia e fortemente indiziata per l’aggravio della calvizie incipiente. Negli auricolari si udiva la propria voce assieme alla musica, ambedue inscatolate come sardine.
Udendo le mie parole giungere da un’altra parte del corpo, sentivo crescere in me un altro Io. Peraltro, da buon Gemelli, ero già abbondantemente schizzato. E, sulle soglie della schizofrenia, quel 29 gennaio 1976 avevo come sempre considerato la mia voce come quella di un estraneo, un autentico intruso, tanto la classifica mi provocava sofferenza.
Da quel che riportava il bigliettino, all’ottavo posto si piazzava il gruppo “Giardino dei Semplici” con M’innamoro, titolo come pochi originale e canzone che proprio non ricordavo e non ricordo tuttora. Quella dopo, la settima, però mi era rimasta sullo stomaco per parecchio tempo, talmente mi stimolava la peristalsi. Si trattava de Il maestro di violino, una terrificante e furbastra soap in forma di canzone con tanto di assolo proto-rap di bambina deficiente nell’intermezzo, il tutto dovuto al genio della musica popolare Mimmo Modugno.
(Interludio critico: oggi forse, ragionandoci, ho maturato un’altra opinione. I ribaltoni nel giudizio sono una regola. Tutto quello che a noi, avanguardisti per principio, allora appariva come pacchiano, triviale e popolare nel senso deteriore della parola, oggi lo si ripropone come geniale, rivoluzionario e intelligente. È il teorema di Pupo, già applicato per Ciccio e Franco. Però L’Esorciccio era già allora un capolavoro. Probabilmente Il maestro di violino sta, con il senno di poi, a Frankie HI-NRG MC quanto i Beatles a Robbie Williams. Oppure no. Ma, in fin dei conti, è così importante?).
Al sesto posto non si andava meglio. Un nero, grande come uno scaldabagno, battezzato Jimmy Castor Bunch, ruffianava e s’ingorillava con un pezzo dal titolo King Kong, probabilmente per agganciarsi al film con Jessica Lange allora in auge.
Insomma, a vederla da una distanza temporale di una trentina d’anni, mi pare chiaro che la classifica delle richieste non fosse proprio nelle mie corde. Si trattava con evidenza di un pegno da pagare per trasmettere di notte. Eppure quelle erano proprio le canzoni che andavano di moda. Chissà com’erano quelli che le richiedevano? 1976, un milione di anni fa…
La serie nera si risollevava con il quinto e il quarto posto, SOS degli Abba e Nevica del cantautore alessandrino Claudio Damiani, grande artista di musica pop nel vero senso del termine ancora oggi sulla breccia. A leggere il titolo del terzo però le pudende iniziarono ad arroventarsi perché la scaletta prevedeva Sandokan degli Oliver Onions, respirando immediatamente al seguito una brezzolina primaverile con Antonello Venditti e la canzone Lilly, quasi decente per essere una specie di nenia funebre.
Purtroppo la melodia regina mi sprofondò nell’abisso: un gruppo italico che si faceva chiamare Beans (alla lettera, “I fagioli”) trionfava con l’orripilante Come pioveva, pseudo-plagio citazionistico di una vecchissima canzone del tempo che fu, inframezzata da gorgheggi effeminati e ululati col riverbero.
Succede, appunto, sono porte che si aprono tra epoche diverse. E l’avere scritto soltanto questo pezzo richiama dal pozzo dell’inconscio I cugini di campagna con la lamentosa Anima mia. E al seguito, Cerrone, Hamilton Bohannon, Daniel Sentacruz Ensemble, Panda, Santo California, Boney M., Van Mc Coy e Village People, TSOP. Può bastare?
Avevo 26 anni, questa la verità. Quarant’anni fa. Un mondo alla rovescia. Meglio, peggio, alla fine sono soltanto chiacchiere. Però fanno bene, e qualche volta persino ridere. E d’improvviso tornano alla mente tanti altri episodi del periodo “radiofonico” che non ho mai raccontato e che sono in grado di alimentare qualche futura puntata del Superstite.