Lunedì mattina in piazzetta della Lega va in scena l‘ennesima rappresentazione della “coperta corta”. Ossia la Cisl che protesta contro una spending review che “colpisce solo i lavoratori degli enti pubblici”. Seguiranno nei giorni successivi, a macchia di leopardo in tutto il Paese, analoghe iniziative con diverse matrici, e immagino anche qualche sciopero (che non va più di moda però: si perde la giornata di paga, e non si ottiene gran che).
Allora, sul fatto che siamo messi malisssimo, credo si sia tutti più o meno d’accordo. Il bluff di Monti, e dei partiti che lo sostengono, immagino ben concordato con la cancelliera Merkel che è ormai il vero premier del nostro Paese, è arrivare “cheti cheti” fino alle elezioni. Creare altro allarmismo (meglio: dire come stanno davvero le cose) rischierebbe di far arrabbiare persino un gregge di pecore, diciamo così. Quindi la prossima tosatura è rinviata all’immediato post elezioni. Quando naturalmente, saremo chiamati a prendere atto che la situazione è drammatica, che se ne esce solo tutti insieme, stringendo i denti ecc ecc…..
Lasciamo stare qui le ruberie, che ne parlano già ovunque. Concentriamoci invece sulla coperta corta.
La tesi della Cisl è probabimente anche fondata, se si intende dire che, all’interno dell’enorme carrozzone pubblico, ci sono anche altre voci di spreco (a partire dal Quirinale e dai Ministeri, aggiungo io) su cui ci sarebbe altro che da limare. E del resto ognuno fa il proprio mestiere, e sindacati che stanno in piedi grazie a dipendenti pubblici e pensionati di che altro pretendete che si preoccupino?
Ma sono battaglie di retroguardia: da sistema in crollo, in cui anziché guardare avanti ognuno cerca di difendere, finché ce la fa, il suo piccolo particulare.
Così la Cisl parla degli impiegati pubblici come di “limonti” da spremere (e offre il fianco a non poche ironie, suvvia…quanti lavoratori privati di tutto il mondo sognerebbero di essere “spremuti” come i dipendenti pubblici italiani?), la Cgil picchia i pugni sul tavolo e chiede il pagamento dei buoni pasto degli impiegati di Palazzo Rosso, la cui erogazione è stata sospesa da qualche mese. Dieta dissesto?
Istanze tutte legittime, sia chiaro. Ma quando i sindacati, come i politici e la classe dirigente in genere, cominceranno a fare i conti con la realtà vera, sarà sempre troppo tardi.
La macchina pubblica italiana è indebitata fino al collo, e pensare che la dissestata Alessandria stia messa peggio della gran parte degli altri comuni, province o regioni è un po’ ipocrita. Sono tutti debiti virtuali, “partite di giro” procrastinabili all’infinito? In buona parte no, perché una quota significativa di quella voragine di denaro è dovuta ad aziende, cooperative e fornitori vari, prossimi al collasso, o già collassati.
In più, quest’anno il nostro Pil ufficiale è crollato, mentre un anno fa si diceva che il 2012 sarebbe stato un anno di stabilità. Ora si prevede un leggero ulteriore calo per il 2013, quindi fate voi due conti. E, tragicamente, non sta meglio neppure l’economia “in nero”, su cui si è fondata negli ultimi trent’anni la crescita di questo Paese. Alzi la mano chi non lo sapeva, e chi non ha partecipato alla festa, se non altro eludendo l’iva sui lavori edilizi, idraulici, ristoranti ecc ecc…
Insomma ragazzi, qui bisogna alzare la testa, prendere atto di un fallimento ed esigere un cambiamento vero. Si è mai visto che la stessa classe dirigente (non solo politica, attenzione) che causa il disastro poi si candida per ricostruire? Altrove nel mondo sarebbe impensabile, ma in Italia, ahimé, è sempre stata la norma. Persino dopo il 25 aprile, a pensarci bene.
E. G.