Rieccoci di nuovo alle prese con il bel libro di Lucia Lunati dal titolo La mia cara Alessandria, edito nel 1968 per interessamento di Cesarino Fissore, come avevo iniziato a raccontare la scorsa settimana. Ancora per questa volta ci soffermiamo sulla bella via Mazzini, di cui però esistono cartoline soltanto degli imbocchi da piazza Vittorio Emanuele – come l’altra che pubblico oggi – e da spalto Marengo.
Pubblico anche qualche pagina in cui la signora Lucia ci parla della sua infanzia e di novità che, in quegli anni, avevano interessato il rione adiacente la sua casa. Un’ottima maniera per scoprire un brandello di città ormai perduto direttamente da questa attenta e vivace testimone dell’epoca.
“Quando si decise di cambiare abitazione lasciai in via Mazzini una parte di me stessa anche se il nuovo alloggio era più confortevole e moderno. Il mio pensiero, ancora oggi (1968 n.d.r.), va sovente là ove vissi la mia infanzia e quando raramente passo per via Mazzini sento in me una struggente nostalgia per quei begli anni verdi.
L’allora via Mazzini era una strada considerata di assai traffico e perciò importante, per quei tempi, soprattutto perché dal centro, cioè piazza Rattazzi comunicava direttamente col lato nord della città mettendola in comunicazione con diversi paesi limitrofi di una certa importanza.
Sicché, quando nel lontano 1902 (mi pare) il Comune dotò la città di un impianto di illuminazione elettrica, la nostra via fu tra le prime ad essere preferita ed avere la precedenza sulle altre proprio a tempo con la piazza Rattazzi, corso Roma, via Cavour, ecc.
L’impianto, ben inteso, fu fatto gradualmente (forse come i fondi comunali permettevano) e questo di aver data la precedenza a via Mazzini, per noi abitanti di quella strada fu motivo di orgoglio.
Beati quei tempi che ci si inorgogliva per questo! Ricordo con quale folle entusiasmo ci riversammo tutti sulla via la sera dell’inaugurazione, a godere lo spettacolo sorprendente di quella luce bianca che scendeva dai globi e si spandeva abbagliandoci (a quei tempi ben inteso).
Sembravano tutti invasi da un avvenimento soprannaturale. Se oggi ogni progresso venisse accolto con tanto movimentato entusiasmo mi domando che cosa succederebbe.
Ricordo dunque, che dato il privilegio della illuminazione elettrica, noi abitanti della via guardavamo quasi con commiserazione le vie trasversali che ancora avevano la luce pallida e due a gas, con gli addetti a regolare la fiamma che ogni sera all’imbrunire si prodigavano muniti di una lunga canna sormontata da uno stoppino acceso, ad accendere ogni lampione dopo aver aperto un rubinetto che manovravano con un piccolo gancio collocato a fianco dello stoppino. Questi addetti ai fanali stradali (vestiti con una gran giacca a rigatino blu e grigio e con un berretto con scritto in rosso, sopra la visiera, Gaz, ed io mi domandavo perché si dicesse Gas e si scrivesse Gaz), alle prime luci del mattino rifacevano lo stesso percorso della sera per spegnerli, e per ancora un bel po’ di tempo continuarono in questo ingrato lavoro mentre una parte della città godeva già il privilegio della illuminazione elettrica.
La nostra via Mazzini, dico nostra perché a quei tempi le genti che abitavano in una strada, più o meno si conoscevano tutti ed avevano quasi tra loro una specie di affiatamento cordiale e sincero, aveva diversi palazzi pedonali di una certa linea e aspetto signorile ed erano abitati dei soli proprietari con abitudini e usanze ben diverse dalle altre case occupate da più inquilini. Non ricordo il nome di questi proprietari ma solo i portoni di ingresso e i cortili spaziosi e silenziosi ed il verde dei giardini. Una di queste case, che teneva tutto il fronte sulla strada da via Ghilini a via Savonarola, me la ricordo in modo particolare. Ora non c’è più ed al suo posto c’è una casa moderna. Era quasi dirimpetto a quella ove abitavamo noi, perciò mi era familiare. Aveva un bel portale grandioso, sostenuto da due colonne di marmo che finivano con due capitelli, mentre in basso erano appoggiate su basi quadrate di granito che davano un aspetto di stabilità grandiosa ed erano anche una gran comodità per i cani di passaggio. Soprastante al portone vi era un grande balcone pure di marmo che appoggiava sulle due colonne e completava l’aspetto grandioso dell’ingresso.
Su quel bel balcone ampio e lungo, a colonnine di marmo ben formate, io immaginavo sempre di vedere apparire qualche bella signora magari non più giovane degna di quel verone, o magari un distinto signore che arringasse la folla; tutto questo nella mia infantile attesa e sovente mi chiedevo perché su quel bel balcone non ci fosse mai nessuno, ma solo dei colombi grigiastri che se la spassavano a loro agio tutto il giorno con qualche inconveniente per i passanti; altro che bella signora!
Ancora una volta scopriamo come le belle case di Alessandria (ma che novità!!!) abbiano fatto una brutta fine per lasciare spazio alla modernità, certamente più funzionale ma meno affascinante. Nella cartolina che pubblico oggi si può vedere la parte superiore del palazzo che proprio in queste interessanti pagine l’Autrice descrive.
L’ingrandimento dà forse qualche possibilità in più di osservare, almeno nel suo complesso, l’interessante costruzione davanti alla quale la signora Lucia aveva abitato per tanti anni.
Ecco ciò che oggi si può vedere in quel tratto di strada:
Ancora una volta le cartoline rendono merito alla storia urbanistica, raccontando la loro verità; ritengo che – dal confronto – appaia sempre vincente il passato sul presente. La città si è certamente modernizzata ed evoluta, come ogni luogo abitato, a discapito della conservazione di edifici di pregio e di una convivenza dal volto umano e dalle consolidate abitudini.
Certamente oggi il vino per uso familiare non si produce più in una cantina o in un cortile della città e tante altre cose ancora sono state completamente cambiate, dimenticate ed inghiottite dal tempo. Si è perso per sempre quel tipico modo di vivere di una comunità, le semplici e umane relazioni tra persone, quel confrontarsi e relazionarsi tra vicini di casa o di strada. Tutto questo cambiamento in favore di un consumismo e di una modernità che ha tolto gran parte di anima alla gente ed alla città.