Alessandria malato terminale? Assolutamente no, ma…..

Ripartire dalle imprese, per non lasciare morire la città. Un passaggio importante, quello emerso dall’incontro di Rita Rossa con i rappresentanti di un nutrito elenco di associazioni di categoria.

Posto naturalmente che 1) alle parole devono seguire i fatti, 2) le stesse associazioni di categoria, non nascondiamoci dietro un dito, spesso sono oggetto di critica da parte degli iscritti, che le descrivono come dei piccoli o grandi carrozzoni i cui rappresentanti “se la raccontano”, e gestiscono i loro affari.

Ergo, bando alle ciance e andiamo al sodo. Alessandria è un malato terminale? No, per fortuna. Ma avviare un percorso di vera inversione di tendenza, lavorando ad un rilancio dell’intero territorio, è un processo che richiede capacità, determinazione e forma mentis che questa giunta e chi la sostiene (sindacati, corpi sociali intermedi qualunque cosa significhi, associazioni, persone) devono ancora dimostrare di possedere. In fin dei conti, si tratta di soggetti che quasi sempre arrivano dal passato, e che hanno avuto la loro parte nel processo di disfacimento almeno ventennale (per fermarci lì) di cui ora cogliamo i frutti.

Quindi facciamo, e facciano, parlare i fatti. Cosa significa “rilanciare la città, e farla ripartire”, come dice la sindaca?

Attenzione: non possiamo pretendere che gli amministratori di Palazzo Rosso, con una bacchetta magica, trasformino il territorio in un’oasi di produzione, crescita, ottimismo. Il contesto è noto: siamo un Paese in fallimento.

Il premier Monti racconta frottole (e ben si guarda dal sottoporsi al giudizio elettorale: ma del resto è senatore a vita, che volete?), sostenuto dalla quasi totalità dei media: il fatto che la Bce abbia deciso di continuare a comprarsi il nostro debito (a quali condizioni di ingerenza non lo sappiamo: ma la sovranità popolare è già oggi un optional, quindi…), non significa che ci siano stati miglioramenti sul fronte dello spreco, dell’inefficienza della macchina pubblica, della corruzione. Significa solo che dall’Europa ci hanno lanciato l’ennesimo salvagente, e adesso c’è la corsa a prendersi i meriti. Ma lo Stato non è mai stato così barcollante e in difficoltà: 95 miliardi di euro di debiti solo con le imprese (94 di fatture non ancora saldate, 1 di debiti pregressi), tanto per restare in tema.

Quindi Alessandria si muove in un contesto disperato. Napoli, Palermo, ma anche Torino o Tortona non hanno conti molto migliori. Anzi, il debito pro capite dei torinesi (ripartendo il passivo del Comune per il numero di abitanti) è assai più elevato di quello degli alessandrini. Posto, naturalmente, che si tratta di uno strumento di misurazione opinabile, perché molti di noi pensano di non dovere al proprio comune proprio nulla, anzi di averne sempre strapagato i servizi, in rapporto alla qualità ricevuta.

Dunque, in un contesto così drammatico, provare a ripartire significa sicuramente saldare i conti col passato, penalizzando il meno possibile i creditori di Palazzo Rosso, e cercando di stimolare ogni forma di agevolazione, fiscale e non, per le imprese. Ma ci devono anche spiegare (in un batti baleno saremo di nuovo a fine mese) come si intende da un lato garantire il pagamento degli stipendi a chi lavora (dipendenti delle partecipate, ad esempio), ma dall’altro anche affrontare un processo di riorganizzazione dell’universo di Palazzo Rosso. A meno che non si sia convinti che va tutto bene così com’è: ma anche in questo caso, bisogna avere il coraggio di dirlo chiaramente, perché ognuno possa farsi la propria opinione.

Purtroppo ascoltiamo, ogni giorno, “sfoghi” e storie personali che fanno pensare che, fra i dipendenti comunali (e locali: la Provincia non sta messa tanto meglio) il clima sia da “tutti contro tutti”, per cui “a me hanno soppresso i buoni pasto, faccio già fin troppo”, oppure “a questo ci pensi il tal politico, che si è fatto asfaltare la strada”.

E’ scarso senso di responsabilità personale, o convinzione che “tanto è uguale, perché siamo al capolinea”? Certamente, per scongiurare l’un atteggiamento e l’altro, servono dall’alto non solo “nuove parole e nuovi pensieri”, come direbbe l’assessore Puleio, ma anche esempi virtuosi e progetti credibili. Li aspettiamo.

E. G.