È diventata una moda.
Dapprima hanno incominciato con un tocco radical chic gli scrittori, poi si sono aggiunti con inusuale lungimiranza i politici, oggi è abitudine diffusa.
Quella di inserire nella biografia l’essere genitore.
“Claudia B., milanese, moglie e madre, ha scritto per Piripicchio Editore tre saggi e dodici romanzi….”
“Antonio G., scrittore, un cane e tre figli, è attivo anche come pittore, architetto e maestro d’armi,…”
Sono incipit di reali note biografiche opportunamente rimaneggiate, altrimenti facilmente riconducibili a persone note.
In questi giorni la notizia della crisi del maschio è stata stigmatizzata dai telegiornali esplodendo nello speciale Presa Diretta.
Siamo su una brutta china, se è vero che la “femminizzazione” del maschio è irreversibile a causa di fattori sociali e ambientali.
Lo stile di vita, l’alimentazione, il lavoro, lo stress, fumo, alcool e droghe, l’inquinamento, i farmaci, le nuove tecnologie: tutto ciò e altro condurrà l’umanità verso l’unisex. Non si dovrà più pensare alla riproduzione come atto naturale ma solo ed esclusivamente come processo di laboratorio.
Riflettendoci trovo giusto che le biografie siano corredate anche da paternità e maternità, note di merito che in futuro – pare – diverranno sempre più rare.
Per ora però io mi godo l’appartenenza a tutte le minoranze: uomo, bianco, etero, non sono musulmano, non sono vegetariano, non sono tatuato, non sono disoccupato.
E non sono padre.
Per fortuna vivo in un paese democratico.