Probabilmente diversi di voi hanno letto, su La Stampa di ieri, l’analisi di Luca Ricolfi sullo scenario politico-elettorale che ci attende la prossima primavera.
Emergono alcuni elementi interessanti, e anche forse qualche azzardo: si può definire nuovo Luca Cordero di Montezemolo (per gli amici, Lcdm), che sta nella stanza del potere vero del Paese da quando aveva i calzoni corti e vestiva alla marinara, come il resto della casata Agnelli? Non direi.
L’unica novità del panorama politico italiano degli ultimi anni (e non solo degli ultimi, in verità) piaccia o non piaccia si chiama 5 Stelle. E, anche qui, c’è comunque voluto il volto stranoto di un big di 64 anni, come Beppe Grillo, per scuotere e organizzare una parte delle coscienze popolari. Il che la dice comunque lunga sulla reattività del popolo italiano: che ha bisogno di essere guidato, di avere un papà in cui riconoscersi, e a cui demandare le responsabilità.
Il resto del panorama politico è l’aggregazione, più o meno scomposta e ricomposta, dei soliti gruppi di interesse del Paese, trasformati in forma partitica.
E’ vero, come dice Ricolfi, che sia Pdl che Pd rappresentano il vecchio: sul sicuro, si può discutere. Se lo si intende come: “è sicuro quel che ci aspetta con questi qui”, sottoscrivo.
Naturalmente ci sono differenze rilevanti, soprattutto di “tenuta”. Il centro destra è semplicemente “bollito”, il Pdl non c’è più, e i suoi esponenti stanno cercando di capire dove andare a parare: si ricandida Berlusconi, e può ancora rappresentare un approdo garantito? C’è posto sulla zattera di Montezemolo e Giannino? E, appunto, è una zattera o una comoda nave da crociera su cui prenotare un posto in business, per altri cinque anni da favola?
Ma datemi retta: la grande forza del centro destra è il suo pragmatismo. Da quelle parti non c’è nessuno che la mena dicendo di essere un grande statista, di voler salvare il Paese: sono un agglomerato di piccoli e grandi interessi, di faccendieri a volte in gamba e a volte meno. E questo semplifica molte cose.
Il Pd, invece, che tragedia. Tutto giocato sull’ambiguità e sull’equivoco. Perché gli interessi e gli obiettivi privati sono gli stessi (o diversi, ma alla fin fine di ugual spessore) che sul fronte di centro destra, ma qui la pretesa di essere statisti, e di apparire interessati al bene pubblico, c’è ancora. Salvo poi, su questioni sostanziali, “sgattaiolare” con furbo mestiere, come fa nel video Pierluigi Bersani con il tenace e preparato alessandrino Daniele Viotti.
Ossia: “sì, certo, compagno, hai ragione anche tu, nella tua ingenuità, ma i tempi non sono maturi, fidati di noi che sappiamo bene come si fa”, e via con una bella pacca sulle spalle al popolo dei militanti.
Tutto come un tempo insomma: ma all’epoca il gap culturale tra l’Olimpo dei dirigenti e la base dei “salsicciari” era enorme, e il paternalismo funzionava bene.
Oggi la vedo più dura, per i Bersani e i D’Alema. Anche se il “decotto” in Italia spesso si riesce a spacciarlo per nostalgia dei bei tempi andati, temo che la carta della diversità post comunista ormai, se Berlusconi non ci mette di nuovo del suo, possa fare presa soltanto su un elettorato piuttosto anziano, “ciula” o sognatore fate voi.
In ogni caso, è evidente che il Pd è al momento l’unico vero partito che ha struttura e radicamento sul territorio, comprese cinghie di trasmissione come i sindacati confederali e il mondo cooperativo. Quindi sulla carta è in pole position, e le elezioni 2013 può solo perderle, perché è convinto di averle già in tasca. Atteggiamento pericolosissimo, peraltro: ricordate la gioiosa macchina da guerra del povero Achille Occhetto? Immagino che qualcuno leggendo si stia “toccando”, e in effetti è meglio pensarci prima, che piangere dopo.
Ma da chi potrebbe arrivare, oggi, il colpaccio ad effetto, che fa saltare i piani di vittoria di un centro sinistra “ad egemonia” Pd?
Il vantaggio di Bersani (“usato sicuro” secondo Ricolfi) è che oggi Berlusconi è ormai macchietta di se stesso, e Montezemolo o Giannino sono destinati ad affascinare qualche minoranza più o meno liberal.
Non per niente, su chi si sta concentrando il “fuoco amico” dei media amici, e l’ira dello stesso Bersani? Su Beppe Grillo e i 5 Stelle che, è vero, prendono voti un po’ ovunque, ma evidentemente cominciano a sedurre anche una parte dell’elettorato di centro sinistra. Diversamente questo “terrore” verso gruppi di cittadini auto organizzati sul web non si spiegherebbe, essendoci appunto dall’altra parte l’insieme di strutture e organizzazioni che abbiamo citato.
Eppure, guardate qui: nei giorni scorsi a Torino il servizio d’ordine della Festa Democratica pare abbia impedito l’accesso al dibattito con Bersani ai due consiglieri comunali dei 5 Stelle. Se non è nervosismo questo.
Ma, a completamento, non scordiamoci quel che scrive Ricolfi sul come voteremo in primavera:
“Se non sarà il porcellum (legge attuale), sarà il super-porcellum (legge attualmente in discussione), ossia l’unico sistema capace di sommare i difetti del proporzionale e i difetti del maggioritario. La legge di cui si parla da settimane, infatti, gode di tre interessanti proprietà: permette ai segretari di partito di scegliere a tavolino una frazione considerevole degli eletti, a prescindere dalle scelte degli elettori; non consente ai cittadini di sapere, la sera delle elezioni, chi le ha vinte e chi le ha perse (si torna ad accordi fatti in Parlamento, come nella prima Repubblica); distorce la rappresentanza, nel senso che, con il premio di maggioranza, conferisce al partito più grande molti più seggi di quanti ne merita in base al voto e, con la soglia di sbarramento al 5%, toglie molti seggi ai partiti più piccoli”.
Il 2013 sarà dunque un 1994 bis? Allora prevalse un finto nuovo, restyling di forze e interessi stravecchi. I presupposti per una replica, in effetti, ci sono tutti.
E. G.