Avevo pochi anni.
C’era un negozio di musica, a Savona, che era un’isola felice, un Paese dei Balocchi in cui si entrava con mamma e papà per uscirne non prima di un’ora dopo.
All’interno tutto appariva in un modo per rivelarsi poi in un altro.
A cominciare dal titolare.
Il signor Pippo Sperati, dall’impatto burbero e severo, si scioglieva in sorrisi, consigli, aneddoti e attenzioni; parco ma sincero.
Il locale d’ingresso era in legno, profumava di tempo e di pazienza. C’erano alle pareti centinaia di cassetti con partiture musicali di edizioni italiane, tedesche, americane, tutte ordinate rigorosamente per autore; una volta aperto, ciascun cassetto spalancava un mondo: potevi respirare gli affreschi di Albeniz, i tormenti di Beethoven, le passioni di Chopin, i colori di Debussy, e così via fino ai ritmi di Villa Lobos e alle sofferenze di Zimmermann.
“C’è tutto quello che un musicista adulto dovrà sapere” pensavo tra me e me, spaventato e curioso ad un tempo.
La seconda stanza custodiva gli strumenti musicali.
Lì, in quel piccolo paradiso, mi regalarono la prima chitarra, uno strumento che ancora oggi conservo con religiosa cura, memore di una raccomandazione ultraquarantennale: “Ora devi studiare e fare attenzione a non prendere colpi”.
C’era poi un retrobottega che pullulava di pianoforti, strumenti che il signor Pippo accordava e metteva a punto con l’amore pari a chi custodisce e cresce figli.
Avevo pochi anni e ora mi rendo conto di quanto sono stato fortunato.
Forse proprio per questo resisto in alcune abitudini che mi trascino da sempre e che cerco di tramandare ai miei studenti, con fatica: l’odore della carta, il segno della matita, la fruizione del tempo, la cura delle unghie e delle corde, l’attenzione allo strumento musicale, l’ascolto del silenzio.
Ci provo sempre, con fatica. Perché il digitale incalza, i silenzi spariscono, gli strumenti sono più facili da sostituire che da manutenere, il tempo non c’è.
Alcuni giorni fa ho incontrato Marta, figlia del signor Pippo, ancora attivissimo.
Con lei abbiamo parlato a lungo, ricordando quegli anni e quel negozio che non c’è più da troppo tempo.
Quanto mi resta difficile trasmettere quel lieve dolore che piacevolmente ti concede la nostalgia.