“Pronto Giorgio? sono Rita“. Va beh, non credo che andrà esattamente così, ma quando sabato ho ricevuto il comunicato stampa del Comune di Alessandria, l’immagine, confesso, mi è balzata agli occhi. Non so se il presidente Napolitano e il premier Monti, immaginando che la nostra sindaca “bussa” a soldi, imiteranno la voce della segreteria telefonica, o faranno “no” col dito alla moglie, o alla segreteria, per negarsi. Vedremo: io ho comunque l’impressione che a Roma ci sia la coda, questo sì, e che i centralini dell’Sos finanziario dello Stato centrale siano parecchio intasati.
Certamente, se Rita Rossa ha scelto la strada dell’esposizione mediatica così eclatante, significa che la situazione è disperata. “ma non hanno incassato un sacco di soldi di Imu?”, mi ha chiesto immediatamente un amico commentando l’iniziativa. Evidentemente le risorse dell’Imu (come gli altri introiti) sono già in buona parte state “allocate” in svariati capitoli e caselle, e insomma le risorse correnti non bastano a tappare tutti i buchi.
Fa senz’altro bene la sindaca a ribadire che lo Stato è in ritardo nei trasferimenti dovuti al Comune, e che (come in privato molti peraltro prevedevano) se la sta prendendo anche troppo comoda sul fronte dell’individuazione e dell’invio dei famosi commissari.
E tuttavia, viene da chiedersi, non era questa situazione assolutamente prevedibile già mesi fa, e non si sarebbe dovuto (e non si dovrebbe anche ora) affrontare la situazione in maniera meno demagogica? Sì, e no.
Nel senso che chiunque, in campagna elettorale, avesse presentato agli alessandrini un serio piano di risanamento/ridimensionamento della macchina pubblica locale (assolutamente sproporzionata sul piano degli addetti e della qualità dei servizi che offre, in rapporto ai costi) avrebbe straperso le elezioni. E poi comunque Rita Rossa e la coalizione che la sostiene rimangono ideologicamente convinti che la macchina comunale evidentemente sovradimensionata non è: e lo ha ribadito di recente, dati alla mano, anche l’assessore al Personale di Palazzo Rosso, Claudio Falleti.
Del resto, mi si dirà, i problemi di liquidità riguardano (per ora) le partecipate, mica il Palazzo. Ma queste sono distinzioni da addetti ai lavori, mentre il cittadino pensa: “la mission del Comune non è forse quello di erogarmi i servizi essenziali, tra cui acqua, gas, rifiuti, trasporto pubblico ecc? Che poi lo faccia direttamente, o attraverso società distaccate, sono affari suoi: quel che è evidente è che io pago quei servizi cari e salati, soprattutto ora”.
Insomma: la coperta è sempre più corta. Si possono fare tutte le distinzioni possibili tra Palazzo Rosso e partecipate, ed è giusto ribadire l’irresponsabilità di molte scelte del quinquennio Fabbio. Epperò c’è una grande, maggior verità: la macchina pubblica alessandrina, nel suo complesso, è troppo “gonfia”, costa troppo. Ed è così a causa di scelte politiche scriteriate, almeno ventennali, e assolutamente bi e tri partisan.
E quando una struttura costa troppo, ci sono due strade: o si allarga il bacino delle attività e quindi degli introiti (però, a parte forse Amag, non so quali altre società abbiano questa possibilità), o si riducono i costi delle strutture stesse.
Mi pare purtroppo che la situazione, dissesto o non dissesto, sia simile per Alessandria, Torino, Palermo, Napoli, Tortona. Ma anche Palazzo Ghilini ha i suoi problemi. Insomma: è tutto il sistema della spesa pubblica che mostra la corda, e per questo è difficile pensare che, da Roma, arrivino finanziamenti a pioggia o soluzioni capaci di togliere le castagne dal fuoco. E’ pur vero che quando la richiesta di aiuto arriva dalla Sicilia o dall’Ilva di Taranto gli interventi sono in genere più solerti e generosi. Ma non la butterei sul mero campanilismo, la questione è assai più seria. O ci si rende conto che l’emergenza è strutturale, e richiede interventi davvero straordinari e la mutazione radicale di un impianto che non sta più in piedi, o si gioca a rimbalzarsi le responsabilità settimana dopo settimana, per non rimanere con il cerino acceso in mano. Per ora quasi tutti stanno scegliendo quest’ultima strada. Senza via uscita, che non sia il tracollo: per Alessandria, e per l’intero Paese.
E. G.