Suicidio per disoccupazione [Psicologia in pillole]

sara-poggiodi Sara Poggio

 

 

 

Il suicidio è rimasto per anni un evento strettamente legato alla sfera privata, spesso negato o insabbiato per rispetto (e vergogna) di chi è rimasto, nella maggior parte dei casi accompagnato da giudizi sia sula famiglia “che non si è accorta di niente”, sia sul suicida che “non è stato abbastanza forte”.

Oggi il suicidio viene sbattuto in prima pagina, soprattutto se le motivazioni sembrano essere collegate alla perdita del lavoro o all’incertezza del reddito. Il giudizio si sposta da famiglie distratte e persone deboli a istituzioni assassine e riforme criminali. In entrambi i casi, si dà solo uno sguardo superficiale e a mio parere poco rispettoso nei confronti di una scelta radicale come quella di togliersi la vita.

Prima di tutto, bisogna fare una considerazione di natura statistica: in Italia non è Suicidio per disoccupazione [Psicologia in pillole] CorriereAlaumentato il numero di suicidi, che rimane uno dei più bassi a livello europeo, al massimo sono aumentate le morti in cui la motivazione (presunta o principale) è di tipo economico. La differenza non sta quindi nel numero, ma nelle motivazioni che vengono riportate in modo inappropriato e sensazionalistico dai media: ovvio, per esempio, che ci siano più adolescenti che decidono di uccidersi per colpa del cyberbullismo, prima non c’era! Lo stesso vale per questa crisi economica che ci ha colti alla sprovvista dopo un periodo di relativo benessere: ci siamo trovati ad avere aspettative di vita, reddito e guadagno che non collimavano più con quello che ci poteva offrire il nostro tempo.

Che il lavoro sia importante è superfluo dirlo, ma vedere nel lavoro (e spesso solo in alcuni tipi di lavoro) l’unica via di libertà e realizzazione personale dà l’idea di come spesso giovani e meno giovani costruiscano la loro vita su di un unico pilastro che, una volta crollato, lascia un vuoto difficile da colmare. Quello che uccide non è solo la perdita di status, ma il giudizio di inadeguatezza che diamo a noi stessi e la vergogna che proviamo di fronte agli altri.

Che madre o padre potrò essere se non riuscirò a mantenere i miei figli? Cosa penseranno gli altri di me se mi vedono da un compro oro per raccimolare due soldi dai gioielli di famiglia? I numeri ci dicono che i suicidi per motivazioni economiche sono più numerosi nei luoghi in cui il tasso di occupazione è più elevato, per cui il disoccupato si sente maggiormente “la pecora nera” e rischia di essere emarginato o di emarginarsi per l’imbarazzo conseguente alla propria condizione.

Nei posti dove il tasso di occupazione è più basso, invece, diminuiscono anche i suicidi per motivi economici; una possibile spiegazione può essere che in un contesto dove un maggior numero persone si trovano nella stessa situazione c’è più solidarietà, maggiore condivisione e un minore giudizio di incapacità personale.

Lo Stato è quindi innocente? Probabilmente no: lo Stato deve garantire il più possibile il lavoro, ma anche percorsi appropriati per le persone che si trovano ad affrontare la perdita di occupazione, garantendo un adeguato supporto non solo economico, ma anche psicologico e sociale. Dovrebbero essere istituiti efficaci percorsi di reinserimento lavorativo e forniti sia ai datori di lavoro che al personale delle agenzie interinali e di collocamento gli strumenti per individuare, riconoscere e indirizzare le persone potenzialmente a rischio suicidario verso centri di prevenzione e aiuto.

Lo Stato non è l’unico responsabile però: ci siamo noi come amici, famigliari o colleghi che spesso abbiamo paura di guardare insieme nel baratro della depressione e facciamo finta di niente, ci sono le persone che pensano al suicidio, che spesso iniziano a fare bilanci nel momento peggiore della loro vita e difficilmente riescono a ricavarne qualcosa di buono, e poi ci sono i mass media, che danno in pasto intere famiglie al mero populismo.

Sapete che l’OMS ha stilato una serie di linee guida che gli organi di informazione dovrebbero seguire per dare notizia del suicidio per evitare gli episodi di emulazione?

In breve sono:
• Evitare il posizionamento della notizia in primo piano;
• Evitare la descrizione esplicita del metodo di suicidio;
• Evitare le descrizioni particolareggiate sul luogo dove è avvenuto;
• Prestare attenzione all’utilizzo delle parole nel titolo;
• Prestare attenzione all’utilizzo di fotografie;
• L’ultimo messaggio lasciato dal suicida non dovrebbe essere pubblicato;
• Non devono essere divulgate le generalità di chi ha deciso di togliersi la vita e altri particolari che rendano il suicida identificabile;
• Prestare particolare attenzione per le persone in lutto a causa del suicidio di un parente o conoscente;
• Fornire informazioni sui centri di prevenzione e aiuto.

Vi sembra che siano rispettate?

Occupiamoci della sofferenza emotiva, occupiamoci di prevenzione, ricordiamoci il rispetto verso tutti coloro che, dopo lunghi ed estenuanti ripensamenti, decidono che morire è davvero l’unica soluzione…a prescindere dal motivo, questo è il vero dramma che dobbiamo affrontare.

 

Dr.ssa Sara Poggio
Psicologa, Psicoterapeuta Cognitiva

In Forma Mentis
Studio di Psicologia e Chinesiologia, Acqui Terme

poggio_sara@libero.it
Per approfondimenti sul tema trattato:

http://www.linkiesta.it/it/article/2017/02/11/non-si-vive-di-lavoro-non-si-muore-di-disoccupazione/33236/

http://www.stefanototaropsicologo.it/giornalisti-notizie-suicidio/

http://www.psychomedia.it/pm/answer/suicid/pompili6.htm