Giovedì 23 febbraio alle 21 riparte, più pimpante che mai, il Salotto del Mandrogno targato Massimo Brusasco. Il “conducator” della kermesse più divertente dell’alessandrino ha accettato di farsi intervistare poco prima del debutto, che avverrà non più alla Casetta, ma nei locali del circolo “La Familiare”.
Massimo, la città vuole sapere: perché il Salotto va alla Familiare?
Perché, quando si sono presentati problemi all’interno del circolo Casetta, problemi da cui comunque il Salotto è avulso, la Familiare si è proposta, come altri circoli alessandrini. La scelta è caduta sulla Familiare per questioni prettamente logistiche. Ringrazio comunque tutti quelli ai quali il Salotto sta a cuore e che, dunque, avrebbero voluto ospitarlo.
Non ti mancherà un po’ la Casetta?
Indubbiamente. Quindici anni non sono pochi. Ho scoperto e trovato un sacco di amici. Mi auguro che vogliano seguirci nella nuova avventura. Qualcuno lo farà sicuramente, a cominciare da Piera Raiteri, che è poi quella che ha ideato il Salotto.
Che cos’è per te il Salotto? E perché continui a farlo?
E’ un modo per raccontare gli alessandrini agli alessandrini. Continuo a farlo perché ci sono ancora personaggi da raccontare e altri che, fortunatamente, vogliono sapere. Oltre che trascorrere un paio d’ore curiose e divertenti… almeno spero!
Gli ospiti di stasera?
Per adesso ti posso dire Claudio Lauretta, Mirko Ferretti (ex allenatore… gli hanno dedicato il libro “Una vita da secondo”), il professor Gigi Ferraris (già previsto per la volta scorsa) e Andrea Amisano (voce degli Utopia, cover band dei Nomadi).
Hai mai chiesto a Lauretta di imitare Brusasco? Non sarebbe una brutta idea…
Deve imitarmi proprio adesso che è dimagrito?
Ultimissima domanda. Che ne pensi della nuova denominazione “Fubine Monferrato”?
Mi sembra una bella idea per dare identità a un paese connotato in un territorio in crescita. D’altronde, se si considerano “porta del Monferrato” paesi che non hanno le colline, almeno a Fubine le colline ci sono. E anche gli infernot, tanto apprezzati dall’Unesco.
Andrea Antonuccio