Jorge Luis Borges, in una nota al suo “La Biblioteca di Babele” , immagina un libro che comprenda tutti i libri possibili: un libro totale dalle pagine infinitesimamente sottili, “la cui inconcepibile carta centrale non avrebbe riverso”. Né nel nostro Mondo fisico né nel nostro Mondo spirituale è concepibile qualcosa che non abbia un riverso: non siamo in grado né di definire né d’immaginare una cosa che non abbia il suo rovescio; sia fisicamente sia intellettualmente il Mondo e noi stessi prendiamo consistenza dalla nostra caratteristica di contenere il nostro ribaltamento, e il nostro rovescio ci costituisce esattamente per metà proprio come il diritto. La voce stessa delle annotazioni del racconto “La Biblioteca di Babele” – la voce propria di Borges – forma il racconto stesso tanto quanto lo fa la voce del testo vero e proprio, narrato in prima persona dal protagonista – il Bibliotecario –.
La chiave fondamentale per raggiungere il cuore delle cose è scavare da piú lati: farsi strada sia dal lato del diritto sia da quello del rovescio contemporaneamente, puntando al centro. La noia che spesso ci prende a contatto di qualcosa è quasi sempre dovuta all’iterazione passiva di un’attività (o inattività) in una singola costante direzione e la frustrazione altrettanto passiva della sensazione primaverile della scoperta: perciò la ripetitività ci è spesso noiosa, perché l’abbandono dell’intelletto al procedere in unica direzione è condanna a noia. L’unico modo per accostarsi senza noia davvero al cuore delle cose – dove in verità risiede quel germe primaverile della scoperta – è affrontare il viaggio sia dal punto di partenza del diritto sia da quello del rovescio.
Quello che la rubrichetta che (partendo dalle considerazioni sui “Rerum Vulgarium Fragmenta” e sull’“Africa” di Petrarca e passando attraverso un canone di venti scrittori) oggi si conclude su queste pagine digitali si prefiggeva di fare era dare umile e privata testimonianza del perché per me la nostra grande Letteratura non sia noiosa e del perché per me leggere i Classici non sia solo la nobile contemplazione della bellezza pura ma anche la potentissima emozione che questa genera. Per me la strada è dare per assunte le nozioni tecniche; le questioni strutturali del testo e quelle storiche sull’Autore prima o poi vanno acquisite a qualche livello, ma sono solo uno dei due lati che costituiscono la profondità dell’opera: l’altro lato è fatto dell’insieme degli altri testi e degli altri autori che – per effettivi sistemi gemellari o per parallasse – costruiscono la strada all’intuizione del cuore di ciò che si legge e di chi legge.
Ci s’è provato: si spera di non esser stati noiosi.