Non entro nel merito della questione dei riconoscimenti conferiti e prorogati alle vittime delle foibe, che non conosco, ma non ho motivo di dubitare che il problema sollevato sia vero e sia doveroso intervenire.
E’ il resto della lettera che mi trova in totale disaccordo.
Ha ragione il Presidente Napolitano; di più: Togliatti, che è sempre stato succube di Mosca al punto di tacere sui crimini di Stalin che ben conosceva, comprese le condanne di comunisti italiani autentici, accusati di essere spie del capitalismo (ricordate la lunga disputa sul rimpianto “Belfagor”?) voleva fortemente che tutta l’Istria, Trieste compresa, passasse alla Jugoslavia, seguendo l’ordine di Stalin (per tacere della sua antistorica posizione sui fatti di Ungheria del ’56, che provocò il dimezzamento dei dirigenti intellettuali del PCI).
Si vedano almeno gli studi di Pupo e della Cattaruzza, citati nel mio saggio “Riflessioni personali di un profugo giuliano” pubblicato da Città Futura, Appunti Alessandrini (insieme a quello analogo del prof. Pietrasanta), Post Blog di Lava, AlessandriaNews Blogosfera: saggio derivato dal corposo e sontuoso dibattito sviluppato sul corriere alessandrino, dove peraltro è stata pubblicata la lettera di Lombardi, prima firmataria la prof. Carla Nespolo.
Gli esuli istriani non erano, tranne pochi, fascisti, e se alcuni lo furono cambiarono idea, cosa che peraltro accadde a molti dirigenti comunisti nel dopoguerra. Evitiamo l’elenco, che serba molte sorprese, sul cosiddetto fascismo di sinistra, innamorato del ministro Bottai, riportato dal memoriale scritto a caldo da Zangrandi.
Ho letto per decenni i due giornali, stampati a Roma: La Difesa Adriatica e La Voce di Fiume, cui mio padre era abbonato, e ho seguito le inziative dell’Associazione Giuliano Dalmata di Genova, di cui mia madre era parte attiva. In quei due giornali ricorre l’esaltazione del da me detestato D’Annunzio (che era nazionalista e non fascista), inevitabile e persino condivisibile peraltro, ma mai esplicitamente del fascismo.
Le foibe sono sempre ricordate col doveroso rilievo (i morti furono davvero oltre 5mila; non scordiamo che ci furono due momenti di foibe, uno dopo l’8 settembre e il secondo fino agli anni ’50), ma compaiono anche articoli di giornalisti, storici e politici di sinistra, soprattutto nei decenni più recenti, nei quali è stata avviata una proficua collaborazione con i Centri Italiani particolarmente attivi a Fiume. I due giornali rispecchiano le associazioni di profughi, che costituisconoi loro lettori. Dominano articoli che recuperano aneddoti e personaggi, scritti spesso in dialetto, e soprattutto la pagine dei morti, con relative foto, di istriani e dalmati italiani e del resto del mondo.
Sergio Endrigo, per citare un cantante vero, raffinato e modesto insieme, era di Pola, e non era fascista: cantò persino una canzone di Gianni Rodari, che tutti i bambini conoscono: Per fare un albero…
Lo scopo dichiarato dei due giornali è quello di tenere in piedi, finché sarà possibile, il ricordo dell’esodo, che non fu affatto di 200mila persone, ma di almeno il doppio.
Peraltro i due giornali citati hanno messo in piedi un Archivio storico documentale preziosissimo, che chiunque può consultare.
Quanto ai finanziamenti quand’anche fossero davvero consistenti, non bastano certo a ripagare il trattamento oltraggioso che fu riservato ai profughi all’arrivo in Italia, comunisti in testa, Il finanziamento ai due giornali, implicitamente contestato? Mi viene da ridere, pensando ai mille rivoli ove cade il finanziamento pubblico dei giornali.
In testa il Foglio di Ferrara, il quale senza l’amichevole firma di Marco Boato (mi astengo dal pronunciarmi), non esisterebbe.
Non è assolutamente vero che le Associazioni Giuliano Dalmate abbiano in mano il Giorno del Ricordo: si tratta di due geriatrici, guidati da un direttivo democraticamente eletto, a cui ognuno si può candidare, che, almeno a Genova, si limitano a una Messa commemorativa al cimitero di Staglieno.
Per il resto organizzavano pranzi sociali, in cui le vecchie cuoche riproponevano i piatti della propria tradizione, comuni in tutto il Friuli Venezia Giulia, e a gite a Fiume, il cui scopo principale è visitare i cimiteri per riordinare le tombe ove sono sepolti i propri cari. Cosa c’è di fascista in queste iniziative?
Il modello è semmai il quasi defunto Festival dell’Unità, intitolato al giornale che negli anni della guerra fredda vomitò valanghe di odio sui profughi, che, come mio padre votavano soprattutto la D.C.
Di sinistra non erano, e come avrebbero potuto? Distinguere tra comunisti italiani, croati (li abbiamo conosciuti dopo la morte di Tito, ma anche prima erano così, altro che ammirevole Resistenza antitedesca e antifascista) o russi non lo faceva neppure l’Unità; di sinistra lo diventarono alcuni dei loro figli. Uno sono io. Ripeto: molti dirigenti croati non erano comunisti titini, bensì criminali o banditi, che hanno sfruttato a proprio vantaggio i crimini orrendi commessi dall’esercito italiano, e la durissima italianizzazione forzata imposta da Mussolini.
Che poi le donne croate diventassero personale di servizio di servizio, balie per esempio, ben contente di vedere denaro in un’etnia ancora ferma al baratto, presso le famiglie italiane, mi sembra un fatto sempre avvenuto e generoso (ricordate il capolavoro di Pietrangeli “Io la conoscevo bene” del 1965 ?).
Infine, cara prof. Nespolo, l’Istituto Storico che lei dirige, con intelligenza e devozione, non si è neppure accorto dell’innovativo saggio. Coevo agli studi di Rodogno, di Giorgia Manca, valenzana come il fratello, pubblicato da “Passato e Presente” nel 2006. Legga o rilegga, per favore, il mio saggio sopracitato.
Elvio Bombonato – Alessandria