Così passa in archivio.
Anche l’edizione 2017 si chiude.
A dire il vero senza troppe polemiche.
E anche senza tante canzoni che passeranno alla storia.
Il Festival di Sanremo non tradisce le attese.
Edizione politicamente corretta come da tempo non se ne vedeva e, nonostante tutto, carica di eccessi. Con un eccesso di nazional-popolare (carabinieri, guardia di finanza, vigili del fuoco, coro dell’Antoniano), un eccesso di ecumenismo finanziario (RAI, Mediaset, La7, 8, Radio Deejay), un eccesso di sobrietà tra i presentatori (Conti elegante ed essenziale, De Filippi elegante e defilata), un eccesso di sobrietà tra gli interpreti (persino l’ingombro di Sergio Silvestre risulta lieve), un eccesso di sobrietà tra gli ospiti (i trasgressivi Robbie Williams e Zucchero sono mammolette sul palco dell’Ariston).
Insomma molto bene, come sempre.
Ora ci chiediamo cosa resterà.
Resterà certamente un vincitore inatteso e quanto mai gradito.
Già dallo scorso Sanremo, vincendo le nuove proposte con la canzone “Amen”, Francesco Gabbani evidenziò la sua primitiva visione dell’uomo moderno (“sono di moda, sono di moda, sempre di moda, ho l’abito del monaco, la barba del filosofo, muovo la coda”).
Quest’anno rincara la dose battendo il ferro caldo delle commistioni tra ideologie e religioni, così generosamente lontane e così pericolosamente vicine, presentandosi in compagnia di una scimmia ballerina con “Occidentali’s Karma” (“Quando la vita si distrae / cadono gli uomini / occidentali’s karma / la scimmia si rialza / namastè alè”).
Bene, dunque, alla faccia dei vincitori annunciati.
Non dimentichiamo però che il dolce Gabbani è figlio di una scuderia importante, quella di Celentano. A benedire la serata finale, infatti, la figlia del Molleggiato è chiamata a fare la madrina perorandone la causa.
Perché Sanremo è Sanremo.