È la settimana del Festival della Canzone Italiana.
Dovrebbe essere una festa e invece è un’invasione di spot televisivi, ritornelli che hanno fatto epoca, volti noti e qualche new entry.
Quattro, cinque serate di full immersion dentro un contenitore solo talvolta godibile integralmente.
Ci fu un periodo in cui, noi giovani musicisti, provammo a conoscere i meccanismi del Festival di Sanremo per capire quali potessero essere le possibilità di entrare a farne parte.
Un conoscente poco più grande di me (definirlo amico mi sembra eccessivo col senno di oggi) a fine anni Ottanta investì (perse) quattrocento milioni di vecchie lire per cantare una sola volta la sua inutile canzone, essere eliminato e sparire definitivamente da qualsiasi pentagramma planetario.
Dopo aver incontrato produttori discografici, artisti noti, arrangiatori e vari personaggi girando tra Roma e Milano, con un mio collega decidemmo di iscriverci alle selezioni per il Festival di Sanscemo, rassegna di canzoni non solamente divertenti, piuttosto idiote e demenziali. Da quel palcoscenico di Torino presero il via le notorietà di artisti del cabaret quali Marco Carena e Dario Vergassola, passarono artisti internazionali affermati quali il francese Leo Bassi, numerose rock band quali Skiantos e Persiana Jones e le Tapparelle Maledette per citarne alcuni.
Ci rispose l’organizzazione con una lettera, ora sepolta chissà dove in mezzo a qualche quintalata di carteggi, dove in sostanza si diceva che le nostre canzoni erano carine, ben costruite e divertenti, ma non sufficientemente sceme da essere ammesse alla fase finale del festival.
Peccato. È strano come faccia dispiacere sentirsi dire una cosa che in qualsiasi altro frangente sarebbe gradita o perlomeno auspicabile.
L’estate seguente un programma estivo di Italia 1 aveva una sigla finale che mi ricordava qualcosa. Era una delle nostre canzoni per Sanscemo!
Già! E risultava attribuita ad altri autori.
Riprendo in mano quella lettera e rileggo attentamente.
È strano sentirsi dire di non essere abbastanza scemi quando questo vuol dire di non essere abbastanza furbi.