Perché ho scelto un abbinamento così apparentemente stonato e disomogeneo per introdurre l’argomento del raffronto fra Italia e Germania in questa fase storica dei rapporti fra nord e sud d’Europa?
Il primo è la prima riga del testo musicale dell’inno tedesco, un tassello (non certo l’unico) che potrebbe essere utile per capire la storia e la mentalità del popolo con il quale nei secoli passati ci siamo confrontati, e chissà per quanti ancora dovremo confrontarci, volenti o nolenti.
Il secondo è una citazione del poeta Giovanni Berchet, milanese di origine svizzera, carbonaro e patriota alle Cinque Giornate di Milano, fondatore del “manifesto del Romanticismo” in Italia.
Perché il Romanticismo? Perché esso ha avuto un’influenza notevole nella cultura tedesca ed allo stesso tempo grande influenza ha avuto in Italia a cavallo fra l’Ottocento ed Novecento la Germania sia come presenza culturale che economica.
La Germania non l’abbiamo mai amata, ma tuttavia l’abbiamo sempre stimata ed invidiata.
Anch’io, che sono sempre stato con il cuore più dalla parte anglo-francese e quando sento parlare (o abbaiare) tedesco avverto un certo senso di disagio, riconosco grande ammirazione e stima per il popolo germanico ed in generale per tutti i popoli nordici e sono disposto ad ammettere la loro supremazia, almeno in due o tre ambiti: quello musicale prima di tutto, perché Bach, Beethoven e Mozart non si discutono, e poi in quello economico-industriale, perché quello che fanno i tedeschi è quasi sempre l’eccellenza, oltre al campo della legislazione, sempre chiara e rigorosa, senza bizantinismi e furberie.
L’inno tedesco, anche se scritto e musicato da fior di autori (le parole sono di Heinrich Hoffmann e la musica di Josef Haydn) a prima vista sembra una canzone nazionalista non dissimile da tante altre e, specialmente la prima strofa sembra risvegliare antiche paure: “ Germania, Germania, al di sopra di tutto, al di sopra di tutto nel mondo, purché per protezione e difesa si riunisca fraternamente. Dalla Mosa al Memel, dall’Adige fino al Belt: Germania, Germania, al di sopra di tutto, al di sopra di tutto il mondo”.
Avete capito bene?
Si parla di fiumi e di confini, che vanno dal Belgio (la Mosa) alla Lituania e la Bielorussia (il Memel) dall’Adige (Trentino) fino allo stretto di Danimarca. Mezza Europa viene chiamata di fatto tedesca.
Tuttavia l’autore dell’inno nelle successive strofe precisa il suo pensiero e le parole sono in realtà sovversive contro i principati ed i regni che al tempo dominavano l’area germanica (c’erano allora una ventina di stati e staterelli tedeschi dove ogni desposta al governo governava in maniera molto poco democratica) ed infatti l’autore delle parole non fu mai amato dai potenti della Germania e fu cacciato dall’Università prussiana per aver manifestato il suo desiderio di maggiore libertà e democrazia. Nella seconda strofa si riscatta parlando di fedeltà tedesca, di donne tedesche, di vino e di canti tedeschi (tutti ottimi e condivisibili argomenti) e nella terza di giustizia, di libertà e di lavoro comune con il cuore e con azione fraterna. Bene, bravo! Peccato che adesso al sogno di una grande Germania non si possa unire il sogno di una altrettanto grande Europa.
Dall’altro verso il poeta Giovanni Berchet, pur adoprandosi con tutte le sue forze per l’unità d’Italia (visse esule e morì a Torino) vedeva già lungo e scriveva che i guai d’Italia sono altrettanto grandi come il mare che la circonda. Il nostro destino era già in partenza quello di vivere ammollati nei guai. In centocinquant’anni non siamo stati capaci di unificare realmente la nazione e tutti gli sforzi per il suo ammodernamento civile, sociale, economico, sono in gran parte falliti. Non è sorta una nuova generazione di cittadini, ma è rimasta una massa variegata di sudditi, abituati ed abili come si dice a Napoli a “chiagnere e fottere” e capaci più che a difendere i propri diritti a darsi da fare per ottenere favori.
Come sarà possibile far convivere gli interessi di coloro che sono bagnati dalle acque del Mare del Nord e del Baltico con quelli che sono bagnati dalla calde acque del Mediterraneo? I tedeschi, gli olandesi, i danesi, i finlandesi e finanche i polacchi e gli sloveni si sono stancati di noi, dei greci, degli spagnoli e dei portoghesi e non credono più alle loro promesse di ordine, pulizia, serietà, rigore amministrativo.
Quando mai un Pulcinella con le pezze al culo o un Sancho Panza spagnolo col cavallo dei pantaloni a mezza coscia potrà risultare credibile, anche dovesse guidare una Mercedes? Diciamolo (anzi, digiamolo) che il confronto sarà duro, molto duro.
L’operaio tedesco non fraternizzerà certo con i nostri né con i disoccupati spagnoli, né tanto meno con i dipendenti pubblici greci ai quali è stato dimezzato lo stipendio o la pensione. Togliamoci quanto prima ogni illusione.
E’ inutile e fuorviante cercare le colpe della mancata integrazione europea nella rigidità tedesca della cancelliera Merkel, nell’egoismo miope dei tedeschi. I tedeschi saranno miopi ma sono forniti di ottimi occhiali da vista. Ci consoliamo fra noi a vicenda pensando e dicendo che il fallimento degli stati spreconi (come il nostro) sarà anche il fallimento degli stati virtuosi. Ma sarà proprio vero? Chi è forte e sicuro di vincere una guerra può anche far finta di perdere una battaglia.
La domanda nuova che dobbiamo porci è questa: fino a che punto l’Europa sta davvero a cuore alla Germania? Al momento i paesi del sud Europa (Francia compresa) rappresentano ancora i maggiori partner commerciali della Germania, ma la situazione sta velocemente mutando, primo perché i nostri (dei paesi del sud) poteri d’acquisto stanno paurosamente calando e poi perché lo scenario internazionale sta cambiando a vantaggio dei paesi del Baltico (Estonia, Polonia, Lituania) e dell’Est (Russia in primo luogo, e poi Ucraina, Bielorussia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Ungheria, Bulgaria, per non parlare della Turchia (88 milioni di abitanti, giovani soprattutto), paese che ha sempre guardato con favore alla Germania, sia come alleato storico che come partner commerciale. Gli interessi tedeschi, forse anche per un’antica seduzione storica di allargamento ad est e di una influenza culturale mitteleuropea, si stanno spostando.
I tedeschi vedono un futuro, nella competitività globale, sempre più rivolto alla conquista dell’oriente e sempre meno nel depresso mercato del resto d’Europa, dalla cui sponda occidentale e meridionale la Germania può comunque continuale ad attingere know-how, capitali e manodopera. La Germania sta avviandosi a vincere la terza guerra mondiale senza sparare un colpo, ma soltanto con l’intransigenza della sua cancelliera, quella che ormai è diventata la nostra badante tedesca. E noi cosa siamo? Dei poveri vecchi rincoglioniti con pannolone? Credo proprio di no, ma dobbiamo dimostralo, con i fatti non con le chiacchiere.
Luigi Timo – Castelceriolo