La sera del 19 luglio 2012 rischia di diventare una data da ricordare. E’ apparso in televisione il ministro spagnolo delle Finanze ed ha dichiarato con una crudezza da noi sconosciuta, specie fra i politici nostrani, la verità vera sulla situazione spagnola. A distanza di poco più di due anni da quando il sempre sorridente ex primo ministro Zapatero vantava i progressi economici del suo paese, prossimo – secondo i suoi calcoli – a uguagliare l’Italia per l’ammontare del prodotto interno lordo (il famigerato PIL), ebbene a distanza di così poco tempo la vera situazione è che nelle casse dello Stato spagnolo non ci sono più i soldi per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici e che, se non fosse per il cospicuo aiuto dei finanziamenti europei, i titoli di stato spagnoli sarebbero già diventati carta straccia.
Che sgradevole sorpresa! E dire che i tempi di Zapatero non risalgono al secolo scorso ed a pensarci bene tutto quel consenso che circondava il precedente governo spagnolo nel pensiero dei nostri commentatori politici progressisti, si riduceva alle riforme nell’ambito dei diritti civili e per il riconoscimento dei matrimoni fra i gay. Tutto il resto è stato come da noi: un ballo in maschera sul Titanic lanciato spensieratamente incontro agli iceberg.
Infatti nello stesso periodo anche da noi il capo del governo non faceva altro che sorridere, battere pacche sulle spalle e raccontare davanti a tutte le televisioni del mondo che la solidità della nostra economia e delle nostre banche era fuori discussione. Mi sa che dovremo imparare a diffidare da quelli che ridono sempre quando parlano.
Berlusconi e Zapatero pur con idee politiche diverse condividevano questo modo di presentarsi: con il sorriso perennemente stampato in faccia. Il sorriso degli imbonitori.
Adesso il nostro capo del governo Monti, chiamato a fare quello che altri non hanno fatto in trent’anni, cerca disperatamente di convincere gli investitori esteri, quelli che dovrebbero rinnovare i titoli del nostro debito pubblico, che il nostro sistema paese è ancora in grado di raddrizzare il timone e che, in fondo, forse non sarà nemmeno il caso di attingere all’aiuto europeo perché l’Italia può farcela con la sole sue forze. Cerca di spiegare con aria seria e professionale, senza ridere o fare battute sulle dimensioni del sedere della nostra badante tedesca, come faceva quello di prima, che sì è vero che lo spread ci condanna e che le agenzie di rating, manovrate dagli speculatori internazionali, da un anno a questa parte continuano a declassarci (dalla doppia A fino all’attuale Baa2) come fossimo un paese di perda-balle, ma non è vero che lo siamo, perché ci siamo adattati ad accettare sacrifici che altri paesi come noi non accetterebbero e che, se tutto va bene, fra due o tre o quattro anni saremo di nuovo pronti per ripartire.
Che il Signore lo ascolti, perché se passa ancora qualche anno così, anche se dovesse migliorare la situazione europea e, dopo l’auspicata riduzione delle tasse, ci fosse magari una ripresa dei redditi delle famiglie, cosa potremmo comprare in Italia se nel frattempo la struttura industriale del paese è andata a ramengo? Compreremmo tutta roba di provenienza straniera. E, allora? Faremo contenti i nostri concorrenti ma non creeremo posti di lavoro.
Un paese di 60 milioni di abitanti non può vivere solo di commercio e di terziario (arretrato), ma deve poter contare anche sui fondamentali, migliorandone la qualità e innovando, ma non certo abbandonando o distruggendo la sua struttura industriale e produttiva. La finanza poi deve ritornare ad essere al servizio della produzione ed abbandonare le tentazioni speculative. In parole semplici occorre ritornare alla saggezza antica di coloro che non si illudevano di poter diventare ricchi in pochi anni, ma programmavano il loro futuro nell’arco di almeno una generazione.
La badante tedesca (la cancelliera Angela Merkel) ha, purtroppo per noi, ragioni da vendere quando si mostra intransigente. Non potrebbe fare altrimenti per rispetto dei suoi concittadini, che con la caparbietà tutta tedesca e con i sacrifici di un ventennio hanno saputo raddrizzare a suo tempo la precaria e fallimentare economia dei territori della ex Repubblica Democratica ex comunista e farne uno strumento di sviluppo, mentre noi nel nostro Mezzogiorno sono almeno cent’anni che continuiamo a far flanella senza alcun risultato, anzi permettendo che gli storici difetti della nostra società meridionale invadano tutti gli ingranaggi della nostra politica e di riflesso della nostra società. Come può un tedesco (o un francese o anche un estone o un finlandese) convincersi che è giusto fare tutti insieme uno sforzo per portare aiuto ai paesi in difficoltà dell’aera sud dell’Europa, quando nel contempo si legge sui giornali ciò che è avvenuto nei bilanci di certe regioni come la nostra Sicilia, dove sappiamo bene tutti che sono decenni che si ruba, si spreca, si permette ad una casta di privilegiati di vivere ben al di sopra del consentito. Dove, e non soltanto in Sicilia, tanto per fare solo un esempio (ma gli esempi sarebbero migliaia) il numero dei funzionari e dei dipendenti pubblici è ben venti volte quello di altre regioni delle stesse dimensioni e dove nella sanità pubblica ci sono costi del tutto ingiustificati (ben quaranta volte tanto) per un servizio talmente scadente da indurre i pazienti di quelle regioni a migrare per farsi curare? Un tedesco è portato a pensare: “ ma se vogliono continuare a vivere così, che vadano a ramengo loro e tutti coloro che li comandano”. “Se non ce la fanno a stare nelle regole della moneta unica, che escano e vadano, insieme alla Grecia, alla Spagna ed al Portogallo in una specie di Europa di seconda scelta, dove le regole potranno essere più elastiche, ma dove non sia comunque consentito pretendere di lucrare contributi e sprecare denaro come è stato fatto finora”.
La stesso trattamento ora vediamo che tocca alla Spagna, dove le banche non avrebbero dovuto essere salvate con denaro della B.C.E. ma forse lasciate fallire visto che hanno la responsabilità di aver gonfiato la bolla speculativa immobiliare fino al punto di avere oggi in Spagna quasi un milione di abitazioni invendute. Gli errori a volte è giusto farli pagare a chi li ha provocati.
E’ troppo comodo, dopo aver per anni fatto girare la giostra della speculazione, addossare ai contribuenti europei la responsabilità del risanamento della propria economia. In Spagna, come da noi in parte, ci si arricchiva con il lavoro di operai extra-comunitari, soprattutto nel settore delle costruzioni, mentre il tasso ufficiale di disoccupazione continuava ad essere a due cifre percentuali. Adesso dov’è finito tutto quel PIL di cui andava fiero il premier Zapatero? Tutto il denaro guadagnato con la bolla speculativa immobiliare? Liquefatto in pochi mesi come neve al sole. Chi si illudeva di essere diventato ricco in pochi anni si ritrova ad un passo dalla miseria e non gli serve sicuramente andare in piazza a protestare.
La campana che annuncia il naufragio sta suonando in questo momento a Madrid, ma suona anche e soprattutto per noi. Purtroppo non tutti ascoltano i suoi rintocchi sciagurati. C’è ancora qualcuno che si illude che basterebbe uscire dall’euro e stampare di nuovo le lire, senza sapere cosa potremmo fare una volta che ne avremo piene le mani. Forse, se la carta sarà di buona qualità, potremo accendere il camino e nulla più.
Luigi Timo – Castelceriolo