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Analisi della situazione del comparto. I segnali contrastanti (per alcune piccole imprese le difficoltà ci sono, per le più grandi no) e le strumentalizzazioni politiche
di Enrico Sozzetti
«Una serata di confronto come doveva essere, con il riconoscimento del lavoro dei tavoli regionali». Maurizio Oddone, sindaco di Valenza, chiude poco dopo mezzanotte e dieci minuti la seduta del consiglio comunale aperto, iniziato dopo le 21 di lunedì 17 febbraio, e dedicata al distretto orafo valenzano. I gruppi consiliari di minoranza (Partito Democratico e Valenza Futura) avevano depositato la richiesta di convocazione di un Consiglio comunale in «forma aperta» per «discutere e approfondire la situazione di crisi delle piccole e medie aziende del Distretto orafo valenzano» e «sollecitare tempestivamente e sostenere il ricorso agli strumenti di sostegno ai dipendenti, alle imprese e alle aziende in difficoltà». Alla base, un doppio interesse della politica: quello per lo stato di salute del tessuto produttivo piccolo e più esposto alle perturbazioni del mercato e quello per gli strumenti e le iniziative da intraprendere insieme al ruolo della Regione Piemonte, unico soggetto istituzionale con competenze specifiche. La velocità e i primi provvedimenti della giunta regionale hanno fissato alcuni punti fermi e tutte le parti hanno riconosciuto il lavoro svolto finora. D’accordo anche minoranza di centrosinistra e sindacati, che non hanno però fatto mancare svariati distinguo e precisazioni.
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Dal canto suo, l’amministrazione comunale per bocca del primo cittadino ha annunciato che sono allo studio «interventi compensativi o agevolazioni sul pagamento della Tari, il percorso è difficile e complesso ma lo definiremo» e per l’accesso ai nidi comunali dei figli dei lavoratori delle imprese orafe in cassa integrazione.
Elena Chiorino, vicepresidente e assessore al Lavoro della Regione Piemonte, con un intervento di circa venti minuti aveva ripercorso le tappe scandite dai tre incontri tecnico – istituzionali e ripresentato i contenuti dei provvedimenti adottati finora. Ma in premessa ha tenuto a dire in modo chiaro che «non siamo di fronte a una crisi, è una fase di transizione economica che genera difficoltà: è un mare mosso in cui le navi più piccole sono più soggette alle onde, meno invece quelle grandi».
Diciannove interventi, oltre a quello del sindaco e dell’assessore regionale Chiorino. Un effluvio di parole in larga parte prevedibile, visto il palcoscenico del consiglio comunale aperto. Positivo l’avere dato vita a un confronto pubblico. Più incerte le evoluzioni a medio termine, alla luce dei diversi interventi in cui non sono mancati i richiami «alla responsabilità» e al «fare squadra», e anche alle parole decisamente in libertà rispetto al ruolo delle grandi aziende, quelle che «danno da mangiare» ai più piccoli (parole di Alberto Pastorello della Uilm) e che «sfruttano il contoterzismo». Dimenticando che nessuno è stato obbligato alla mono committenza e che invece molti piccoli produttori hanno scelto di cavalcare l’onda della crescita del dopo pandemia senza preoccuparsi troppo di pianificare il futuro e considerare le inevitabili contrazioni dei mercati internazionali.
Una parte della crisi dei più piccoli è però causata da scarsa cultura d’impresa, assenza di progettualità e l’essersi legati unicamente ai grandi marchi pensando che l’espansione di mercato continuasse per sempre. L’artigianalità è sempre presente in ogni fase della produzione (basta entrare in una qualsiasi azienda), quello che cambia è il contesto d’impresa in un quadro di transizione e trasformazione.
Da un lato c’è una crisi oggettiva per diverse piccole imprese artigiane, dall’altra le aziende di maggiori dimensioni non registrano un particolare aumento dei curricula. Il quadro del Distretto orafo di Valenza rimane come sempre stretto tra le difficoltà dei più piccoli, che hanno imboccato la strada del contoterzismo esclusivo senza tenere conto che il mercato sarebbe andato incontro a un progressivo assestamento e quindi ne avrebbero pagato loro il conto per primi, e il trend produttivo e di crescita delle medie e grandi imprese che stanno gestendo con più equilibrio questa fase di trasformazione.
Se manca una autentica cultura d’impresa, si possono mettere in campo tutti gli strumenti possibili senza però cambiare di molto la situazione. Dall’intervento, sempre durante il consiglio comunale aperto, di Fabrizio Grossi, funzionario di Confindustria Alessandria è arrivato uno stimolo che, benché non del tutto coerente con il tessuto del Distretto orafo valenzano, è però illuminante. Quando lo storico indotto Fiat ha iniziato a scricchiolare in provincia di Alessandria, le aziende di Felizzano e Quattordio hanno progressivamente cercato nuovi clienti, diversificando la produzione. Al crollo del mondo Fiat non è corrisposto quello dei produttori locali. Poi il mondo dell’auto è cambiato, però la desertificazione non c’è stata.
I grandi marchi del lusso sono arrivati a Valenza, e continuano a farlo, perché solo qui trovano le competenze e le ‘mani intelligenti’ necessarie per realizzare gioielli unici. Non c’è un processo di cannibalizzazione in senso stretto. Quella in atto è una trasformazione nuova, in buona misura da gestire, però non da demonizzare.
Il nodo di fondo è un altro: bisogna affrontare l’incapacità di maturare un diffuso spirito imprenditoriale maturo e competente. Chi è saltato sul carro dell’esplosione del mercato senza capire che dopo il picco sarebbe arrivata una discesa, non una crisi strutturale, non ha capito come gira l’economia.
Il fenomeno non è tanto diverso da quello che, molti anni fa, ha visto molti dipendenti di aziende orafe licenziarsi e aprire piccole botteghe. Allora c’erano risorse in quantità e un mercato nazionale in grado di assorbire la produzione. Poi però sono state chiuse quando i titolari si sono resi conto che non basta saper realizzare uno splendido gioiello, ma bisogna anche saperlo vendere in un mercato diventato più grande e selettivo.
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A Valenza quello che è sempre mancato è lo spirito di squadra. Chi oggi ci prova, e la Fondazione Mani Intelligenti è un esempio, è comunque visto come in parte un corpo estraneo.
Eppure la città dell’oro ha inventato molto, nel Novecento. Ha capito il valore delle fiere e della internazionalizzazione. Ha creato strutture di servizio per imprese e dipendenti. Ha messo a punto modelli di commercializzazione al dettaglio di assoluta efficacia.
Il tempo è poi trascorso, l’economia e il mondo sono cambiati. Mentre la città dell’oro ha continuato (sul piano della comunità politica, associativa e culturale, molto meno sul fronte imprenditoriale) ad essere uguale a se stessa.
Un esempio, tra i molti? I tentativi del passato di creare un marchio identificativo del distretto che si sono dissolti di fronte al cieco individualismo di alcuni che, spalleggiati dalla altrettanto miope politica locale, hanno ritenuto di essere gli unici detentori del patrimonio storico valenzano.