di Dario B. Caruso
Lunedì 27 gennaio 2025
A scuola, anche quest’anno, celebriamo la Giornata della Memoria.
Io sono sempre lo stesso ma i ragazzi cambiano, ogni anno.
Mi pongo domande senza darmi risposte.
Ne condivido una su tutte, quella che maggiormente mi attanaglia e mi lascia da pensare.
Cosa resterà ai ragazzi?
Assistiamo quotidianamente in tivvù e per strada a scene di violenza fisica e verbale.
Ci stiamo abituando alla guerra, sempre più vicina alle porte di casa nostra.
Si moltiplicano i concorsi e i percorsi per l’arruolamento nell’Esercito Italiano.
In Europa si aumentano le risorse economiche per incrementare il comparto bellico.
Compaiono nuovamente parole desuete come colonizzazione, deportazione, campi di prigionia.
E dunque cosa resterà ai ragazzi di una riflessione comunitaria? Di un canto corale eseguito tutti uniti? Cosa resterà di un momento di silenzio nel quale anche gli studenti balordi hanno gli occhi lucidi?
The answer, my friend, is blowin’ in the wind, canterebbe Bob Dylan.
Non sono come lui, non ne ho la presunzione; la sua non-risposta è figlia di un tempo (gli anni Sessanta) in cui la memoria occupava tempo, storia e riflessione.
Formidabili quegli anni, canta Roberto Vecchioni in un forte messaggio che cerca di spronare i giovani d’oggi a riportare in vita gli anni della sua gioventù.
Io nasco nel 1964.
Ho vissuto da bambino gli anni dei cappelloni e dei jeans a zampa, da ragazzo la febbre del sabato sera e della domenica pomeriggio, poi il Mundial di Spagna, la mitica Panda 30 con l’autoradio tamarra, le schede telefoniche per le cabine pubbliche, i primi cd, il lavoro a tempo determinato, il terrore del millennium bug, la caduta delle Torri Gemelle, il lavoro a tempo indeterminato, ho vissuto queste e mille altre cose.
Le ricordo tutte, come fossero accadute ieri.
Ne ho memoria.
Ho memoria anche dell’insegnante di francese e di quell’episodio particolare.
È la primavera del 1977.
Arrivo a scuola convinto di dover entrare alla seconda ora. Resto dal portone delle Medie Chiabrera in attesa della campanella, mancano pochi minuti ma è strano: dove sono i miei compagni di classe?
Mi assale un terribile dubbio; apro la cartella, sfoglio il diario e…mi accorgo di aver sbagliato giorno! Domani dovrò entrare alle 9 ma oggi dovrei già essere in classe da…57 minuti! Ahhhhh!!!
Preso dal panico, sul diario scrivo malamente una giustificazione falsificando – ahhhhh!!! – la firma di mio padre.
Entro in aula col cuore in gola.
La professoressa Maria Rosa Taddeo mi chiede il diario, glielo mostro, lei legge, poi mi guarda negli occhi, poi rilegge, poi controfirma e mi invita ad andare al banco con piglio severo.
Lei aveva capito tutto, Dio l’abbia in gloria, e di questo e – di ciò che seguì – io ne conservo il flebile ma potente richiamo della memoria.
Per questo motivo voglio pensare che di tante esperienze che i ragazzi vivono a scuola, qualcosa di buono comunque resterà nella loro memoria.
Se non le parole o i suoni o i silenzi, almeno l’esempio di chi ha sbagliato prima di loro.