di Dario B. Caruso
È davvero improbo scegliere un immagine per questo appuntamento settimanale con il Flessibile; decido quindi per il richiamo ad una foto (indizio inequivocabile di chi parlerò).
Ho sentito Oliviero Toscani al telefono circa cinque anni fa, per l’ultima volta.
Parlammo a lungo.
Il Comune di Cairo aveva allestito il Ferrania Film Museum e alcuni funzionari mi chiesero di poterlo contattare.
Sull’argomento rispose in modo asciutto “… dì pure loro di chiamare”.
Poi si chiacchierò di musica, di politica, di altre cose che non ricordo fino in fondo.
Lui era così, aveva molto da dire ma solamente su argomenti che riteneva utili.
Conservo ad esempio la registrazione di un’intervista che gli feci al telefono, lunghissima e senza un apparente filo rosso (e ricordo la fatica per sbobinarla e renderla fruibile ai lettori di una rivista culturale di allora).
Che intervista!
Quando Oliviero si presentò per la prima volta alla Festa dell’Inquietudine, in Villa Faraggiana ad Albissola Marina, scese dalla sua auto sportiva con il suo sorriso aperto.
Quella sera, in suo onore, curai un concerto dell’Ensemble Chitarristico; Toscani apprezzò e da allora mi prese in simpatia.
A Finalborgo, due anni dopo, dedicò una tappa del suo progetto Razza Umana.
Non ricordo Finalborgo così felice e allegra come quella volta; Toscani portò apparente leggerezza, le immagini scattate dal suo staff a tutti, comuni cittadini e autorità, e appese in ogni angolo di strada coglievano l’essenza dei singoli volti: potevi riconoscere facilmente il saggio, il buono, l’ebete, il bastardo, leggevi nei volti senza equivoco il vero essere.
Così come quando Toscani ti parlava, ti guardava e ti sentivi osservato in levare – usando una metafora musicale – in controtempo, ti sentivi nudo davanti al suo sguardo.
Qualche tempo dopo fui invitato nella sua tenuta di campagna a Casale Marittimo, vicino a Pisa, un’azienda agricola sobria ed elegante che fu teatro di un suo nuovo progetto.
In quell’occasione era presente Salvatore Settis, allora direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa.
Insieme ad Oliviero diede il via a Nuovo Paesaggio Italiano, un disegno multiculturale che aveva l’intento di far aprire gli occhi e guardare con il filtro dei cinque sensi il bello e (soprattutto) il brutto che ci circonda.
Oliviero Toscani nei suoi discorsi riusciva, come nelle fotografie, a coniugare il bene e il male, a rendere compatibili gli opposti; forse, per questa ragione in superficie risultava di difficile decifrazione e dunque non facilmente amabile.
Era diavolo e acquasanta, amato dai familiari e dai ragazzi della sua bottega.
Toscani è stato certamente un genio e come tale scomodo alla superficialità.
Io lo ricordo come un essere umano eccellente.
Per questo mancherà.