Apprendiamo dai giornali dell’incontro che si terrà il 12 settembre alle 11 al museo di Marengo, in cui la Regione, nelle vesti del nuovo assessore alla salute Federico Riboldi, ha dichiarato di voler affrontare il tema dell’inquinamento del polo chimico di Solvay/Syensqo e quello dei pfas.
Più di un mese fa, dopo aver presentato in conferenza stampa i dati di nuovo progetto di biomonitoraggio pilota in collaborazione con un laboratorio di Aquisgrana, abbiamo inviato insieme a Greenpeace e Ànemos una pec (strumento che impone agli enti pubblici di rispondere entro 30 giorni) alla Regione con delle richieste puntuali, tra cui quella di un incontro.
Non ci fa quindi ben sperare sulla reale apertura al dialogo da parte della Regione scoprire che non siamo stati nemmeno messi al corrente dell’incontro, considerato anche che è stato fissato in orario lavorativo: elemento che non ci sorprende e che potrebbe sembrare di poco conto, ma fissare un incontro di giovedì alle 11 esclude la possibilità di partecipare a gran parte della popolazione ed è in linea con la volontà finora dimostrata di minimizzare la gravità della situazione.
Riteniamo inoltre fondamentale che un incontro come quello indetto dall’assessorato regionale alla salute non sia soltanto un mero incontro divulgativo, ma che porti ad azioni concrete, altrimenti non sarebbe altro che l’ennesima farsa che la popolazione è stata costretta a subire da parte delle istituzioni locali e regionali.
Ricordiamo che in questi ultimi mesi troppe vicende su cui le istituzioni avrebbero dovuto prendere una posizione forte e netta si sono succedute: da un biomonitoraggio tutto meno che efficace indetto dalla regione Piemonte, che ricordiamo aver interessato solo 29 persone, ai due incidenti rilevanti in meno di un mese che si sono verificati all’interno del polo chimico, con una conseguente fuoriuscita di sostanze tossiche. Così come la ripresa della produzione di cC6o4 dopo lo stop di un mese, a seguito della diffida da parte della Provincia, senza che realmente vi fossero le condizioni per garantire una produzione sicura.
Noi lo sappiamo, come in realtà lo sanno bene anche le istituzioni: da quello stabilimento, con un impianto datato e ridotto a un colabrodo, non potrà mai davvero essere garantita la totale assenza di sversamenti, che siano in aria, in falda o nella Bormida.
Continuiamo a sostenere con convinzione che l’unica strada sia quello dello stop alla produzione e la chiusura dello stabilimento, per poter finalmente bonificare un sito martoriato da 100 anni di inquinanti multipli e poter così dare tregua a una di quelle che vengono definite “zone di sacrificio”, la cui popolazione ha dovuto subire fin troppe perdite in termini di salute e vite umane.
Comitato Stop Solvay