di Dario B. Caruso
Sono numerose le situazioni di vita quotidiana in cui ci diciamo mai più.
Quando reagiamo in modo sproporzionato, quando imbocchiamo una strada sbagliata, quando diamo fiducia malriposta.
In questi e altri frangenti promettiamo a noi stessi di non ricadere nel tranello.
Per una casualità – o forse no – mi ritorna in mano una pagina del saggio La musica sveglia il tempo di Daniel Barenboim.
Barenboim, classe 1942, musicista e direttore d’orchestra di fama internazionale, scrive così:
(…) è indispensabile dire “mai più” sia in senso soggettivo che oggettivo; comunque queste parole devono essere sottoposte a riflessione costante. Infatti, se vengono pronunciate senza la debita considerazione, possono diventare un riflesso ripetitivo (…). Se le parole “mai più” diventano uno slogan, diminuisce il loro impatto e si rende impossibile ogni discussione poiché lo slogan è nel migliore dei casi deformazione di un’idea originaria (…).
Il musicista argentino parte da un ragionamento profondo e articolato, fa riferimento all’Olocausto prima e all’atteggiamento vessatorio degli Israeliani verso i Palestinesi poi; non in maniera giudicante ma critica e possibilista.
Queste poche righe possono però essere estrapolate e fatte proprie per le vicende personali e possono anche estendersi a livello universale.
Lo slogan, che da grido popolare di appartenenza diviene motto politico o marchio di comunicazione, è sintesi di un pensiero e come tale rischia di essere letto a differenti livelli.
Ci sarà chi si soffermerà al suono d’impatto; d’altra parte lo slogan ha come obiettivo primario quello di essere facile e di rimanere impresso alle orecchie umane.
Ci sarà invece chi saprà leggere il messaggio sotteso e andrà alla fonte del pensiero; in questo caso lo slogan fungerà da cappello e non da abito.
Mi fermo.
Ancora una volta alla tivù propongono uno spot che racconta di bambini poveri, afflitti da malattie e affamati dalla siccità.
Mi chiedono di inviare un contributo mensile affinché quel piccolo scheletrino dagli occhi giganti abbia una porzione regolare di cibo terapeutico.
Barenboim continua così:
(…) In questo caso, la deformazione dell’idea può condurre facilmente a fare assegnamento sugli elementi militaristici della società, i quali a loro volta garantiscono che il futuro sarà dominato dalla paura, come lo fu il passato.
Ancora una volta proverò a rispondere mai più.
Sappiamo con certezza che il nostro contributo andrà a salvare quel piccolo scheletrino dagli occhi giganti?
Intanto al tiggì raccontano con leggerezza – tra una notizia di sport e gli effetti della calura estiva – di nuovi bombardamenti che anche oggi hanno ucciso bambini e civili di tutte le nazionalità.
È evidente il gioco, la paura che domina il futuro.
Mai più.