di Dario B. Caruso
L’Olimpiade da sempre è un evento che racchiude in sé significati sportivi, politici, storici.
Parigi 2024 ha una profondità ulteriore: dietro quel logo così ben realizzato (che racconta un affascinante volto femminile con i capelli a caschetto anni Venti) ci costringe a guardarci intorno in un periodo durante il quale risulta comodo limitarsi al proprio giardinetto, criticando con cinismo ed ignoranza quello altrui (l’erba del vicino ha sempre più merde).
Fate caso alle dichiarazioni degli atleti, agli atteggiamenti dei vincitori e degli sconfitti. È lo spirito originario, quello che il barone De Coubertin sintetizzò nel motto secondo il quale l’importante è partecipare.
Ma se lo sport risuona alto, dal basso si odono pernacchie di tromboni scordati; sono i giornalisti e gli opinionisti che riescono a dematerializzare le emozioni reali.
Un atleta arriva quarto in una specialità, non sale sul podio per un soffio ma – dopo l’umano rammarico – dimostra gratitudine per l’esperienza vissuta e racconta di un’olimpiade indimenticabile.
L’atleta narra un concetto palpabile, leggibile nel suo sguardo e dal tono delle sue parole, non sta parlando di una sconfitta.
Lo sconfitto sei tu che dall’altezza di un microfono svilisci il pensiero altrui e lo banalizzi.
Mi sono incuriosito in occasione di queste ultime Olimpiadi, la trentatreesima edizione dell’era moderna; ho letto un po’ di cose sul barone De Coubertin per comprendere meglio chi sia stato questo nobile parigino di altri tempi.
Ebbene, fu una personalità poliedrica e sfaccettata; in un periodo storico complesso, quale quello dell’Europa di fine Ottocento, riuscì attraverso la sua formazione pedagogica a costruire i moderni Giochi Olimpici.
Per esempio riteneva che le pratiche dell’esercizio fisico e del fair play avrebbero aiutato i giovanissimi ad affrontare meglio le sfide della vita futura.
Ma guardate un po’, che idee bizzarre e obsolete.
Oggi, proiettati nel mondo dell’intelligenza artificiale, siamo legati alla poltrona di casa in attesa che ci dicano cosa sia meglio dire e fare secondo il copione del politicamente corretto.
Pochi giorni fa a Caen, splendida città della Normandia, io e mia moglie troviamo in pieno centro un’insegna: Arbuste Cafè. Aveva tutte le caratteristiche di una torrefazione all’italiana, dove ti macinano sul momento i chicchi e ti preparano un espresso con i fiocchi.
Ci sediamo, ordiniamo e godiamo del caffè guardando la facciata della splendida cattedrale cittadina.
Ecco, proprio in quel frangente abbiamo compreso come sia vero il motto decoubertiniano.
L’importante è partecipare, cari francesi.
Ma noi stavamo comunque bene, di fronte ad una meraviglia e con la bocca impastata di un sapore a noi ignoto.